Pubblicato il 9 Ottobre 2025
Il riconoscimento dell’Accademia di Svezia
È stato definito da Susan Sontag “il maestro dell’Apocalisse”, e oggi l’Accademia di Svezia gli ha conferito il Premio Nobel per la Letteratura 2025 “per la sua opera avvincente e visionaria che, nel mezzo del terrore apocalittico, riafferma il potere dell’arte”.
L’ungherese László Krasznahorkai, autore dalla scrittura ipnotica e dallo sguardo cupamente poetico, è così entrato nel pantheon dei grandi narratori contemporanei.
Un autore che racconta l’attesa e il declino
Nei suoi romanzi, da “Satantango” a “Melancolia della resistenza” fino a “Guerra e guerra”, Krasznahorkai descrive mondi sospesi tra speranza e disperazione, luoghi segnati da attese infinite e da un degrado sociale e morale che sembra non trovare riscatto.
Le sue storie, ambientate spesso nella fangosa campagna ungherese, diventano metafore di una umanità smarrita, in cerca di senso, incapace di reagire al lento crollo del proprio universo.
La lingua come forza visionaria
Come i maestri della letteratura mitteleuropea, da Kafka a Thomas Bernhard, Krasznahorkai utilizza una prosa densa, fluviale, senza pause, fatta di frasi interminabili e ipnotiche, in cui il lettore è trascinato nel vortice dei pensieri e delle ossessioni dei personaggi.
Egli stesso ha detto di voler “esaminare la realtà fino al limite della follia”, un obiettivo che si riflette nella sua scrittura totale, capace di fondere il realismo più crudo con una tensione quasi mistica.
Le origini e la carriera
Nato nel 1954 a Gyula, nel sud-est dell’Ungheria, vicino al confine con la Romania, lo scrittore ha portato nei suoi libri la desolazione rurale e l’isolamento umano della sua terra natale.
Nel corso della carriera ha ricevuto riconoscimenti prestigiosi, tra cui l’International Man Booker Prize (2015) e il National Book Award for Translated Literature (2019). Ora aggiunge il Premio Nobel, che gli sarà consegnato il 10 dicembre 2025 a Stoccolma.
Il successo internazionale e le opere più note
Il suo debutto, “Satantango”, pubblicato in Italia da Bompiani, portava in epigrafe un motto kafkiano: “In tal caso, mi perderò la cosa aspettandola.” Dal romanzo nacque anche un celebre film realizzato nel 1994 con il regista Béla Tarr, che consacrò definitivamente l’autore.
Nel 1998 uscì “Melancolia della resistenza”, un romanzo dai toni grotteschi e visionari, seguito da “Il ritorno del barone Wenckheim” e da “Guerra e guerra”, dove il viaggio dei protagonisti attraversa il tempo e lo spazio fino a New York, in un turbine di brutalità e bellezza.
Con la raccolta “Seiobo è discesa quaggiù”, Krasznahorkai ha rivolto lo sguardo all’arte come forza salvifica, esplorando luoghi simbolici italiani come la Firenze del Perugino e la Scuola Grande di San Rocco a Venezia.
La visione dell’autore: la gentilezza contro la distruzione
“Contro ogni forza distruttiva, l’unico modo di combattere è la debolezza della gentilezza,” ha dichiarato in un’intervista all’ANSA. Una frase che riassume la filosofia umanistica e spirituale che attraversa tutta la sua opera.
Krasznahorkai, convinto che l’arte e la bellezza possano ancora vincere il buio del mondo, sta già lavorando al suo nuovo romanzo, “Panino non c’è più”, in uscita in Italia nel 2026 per Bompiani.
Con questo Nobel, la sua voce – in bilico tra apocalisse e redenzione – si afferma come una delle più potenti e inquiete della letteratura contemporanea.

