Pubblicato il 24 Maggio 2025
Non è più un’eccezione, ma una condizione diffusa
Una volta era considerata una fase transitoria, legata alla giovane età o alla mancanza di esperienza. Oggi, la “generazione mille euro” è diventata la normalità per una parte consistente dei lavoratori italiani. A confermarlo è uno studio dell’Ufficio Economia della Cgil, che restituisce un quadro allarmante:
nel 2023, 6,2 milioni di dipendenti del settore privato – il 35,7% del totale – hanno guadagnato meno di 15.000 euro lordi annui, equivalenti a meno di 1.000 euro netti al mese.
Se si considera una soglia più alta, quella dei 25.000 euro lordi l’anno, la platea coinvolta sale a quasi 11 milioni di persone, cioè il 62,7% dei lavoratori dipendenti (escludendo colf e operai agricoli).
Una media che nasconde gravi disuguaglianze
La retribuzione media nel settore privato italiano si attesta a 23.700 euro lordi all’anno, ma dietro questa cifra si celano profondi squilibri.
Oltre 2,3 milioni di lavoratori hanno guadagnato meno di 5.000 euro lordi annui, mentre altri 1,8 milioni rientrano nella fascia tra i 5.000 e i 10.000 euro.
Un’enorme fetta di forza lavoro che vive al di sotto della soglia di sussistenza, spesso incapace di far fronte alle spese mensili più basilari.
Contratti precari e lavoro part-time: le cause principali
Alla radice del fenomeno ci sono elementi strutturali noti ma mai affrontati con decisione. Secondo l’analisi della Cgil, contratti a termine, part-time involontari e basse qualifiche sono le principali cause dei salari bassi.
- Chi lavora con un contratto a termine guadagna in media 10.300 euro lordi all’anno
- I lavoratori part-time percepiscono circa 11.800 euro lordi annui
- Chi è costretto a un contratto sia temporaneo che a orario ridotto arriva appena a 7.100 euro
Il problema si aggrava considerando la discontinuità lavorativa:
l’83% dei contratti cessati nel 2023 è durato meno di un anno, e oltre la metà meno di 90 giorni. Una precarietà cronica che impedisce qualsiasi progetto di vita stabile.
Anche il livello professionale incide pesantemente: molti lavoratori restano bloccati nei livelli più bassi, senza possibilità di carriera né aumento salariale. Inoltre, 2,8 milioni di dipendenti percepiscono meno di 9,5 euro lordi l’ora, soglia che la Cgil propone come minimo salariale legale.
La proposta della Cgil: “Serve una legge sul salario minimo”
Per la Cgil, quella fotografata dai dati non è più un’emergenza, ma una crisi strutturale che mina le fondamenta del lavoro dignitoso.
“Precarietà, part-time involontario, bassi inquadramenti e inflazione creano la tempesta perfetta”, denunciano i segretari Christian Ferrari e Francesca Re David.
L’inflazione ha eroso il potere d’acquisto, mentre gli stipendi sono rimasti fermi, aggravando una realtà in cui sempre più persone sono povere pur lavorando. La forbice sociale si allarga, e la qualità del lavoro si deteriora.
Un piano di azione per cambiare rotta
La Cgil propone una strategia articolata per uscire da questa spirale:
- Eliminare la precarietà
- Rinnovare i contratti scaduti
- Rilanciare il settore industriale, fermo da 26 mesi consecutivi
- Smettere di competere sul costo del lavoro
- Puntare su uno sviluppo di qualità e salari equi
In cima alle priorità, l’approvazione di una legge sul salario minimo legale, tema tornato al centro del dibattito anche in vista dei referendum dell’8 e 9 giugno. L’obiettivo è restituire al lavoro italiano stabilità, sicurezza e retribuzioni dignitose.

