Pubblicato il 16 Ottobre 2025
Un’omelia che esprime lo strazio della comunità
L’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, ha pronunciato parole cariche di commozione durante le esequie di Paolo Taormina, il giovane di 21 anni ucciso domenica scorsa a Palermo da Gaetano Maranzano, 28 anni, con un colpo alla nuca. Lorefice ha definito la perdita come un “dolore inconsolabile”, ricordando come la morte di un figlio sia un furto alla famiglia, agli amici, al lavoro e alla comunità intera.
Il rispetto del silenzio e la vicinanza al dolore
Nell’omelia l’arcivescovo ha richiamato il passo biblico degli amici di Giobbe per sottolineare come, di fronte alla sofferenza estrema, il dovere degli altri sia la prossimità e il silenzio, non vuote giustificazioni. Rivolgendosi ai familiari—Giuseppe, Fabiola, Sofia e Mattia—ha detto di condividere il loro strazio e ha lanciato la domanda che tutti si pongono: “Perché?”. Al contempo ha voluto rassicurare: «Paolo non è scomparso, non è finito nel nulla; egli vive anche nel cuore di Cristo».
Nessuna giustificazione per la violenza, ma no alla vendetta
Lorefice ha ribadito con fermezza che nessuna motivazione può legittimare l’omicidio e ha ampliato il lutto: piangendo Paolo, si piange «per tutti i morti» colpiti dalla guerra, dalla mafia e da forme di violenza legate al culto della forza. Pur chiedendo che la giustizia faccia il suo corso, l’arcivescovo ha ammonito a rifiutare la tentazione della vendetta: “scacciamo dal nostro cuore la voglia di uccidere Caino”.
Un appello corale alla responsabilità sociale
Rivolgendosi alle istituzioni e alla città, Lorefice—insieme all’arcivescovo di Monreale, monsignor Gualtiero Isacchi—ha auspicato un impegno collettivo che vada oltre il controllo dei quartieri: è necessario promuovere una politica della cura dei più fragili, intervenendo su lavoro, casa, accesso alla cultura e opportunità di crescita umana e spirituale. Solo così, secondo il presule, si potrà affrontare alla radice la vulnerabilità che spesso sfocia in violenza.

