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Sabrina Scampini rompe il silenzio: “Sui social serve un limite alla cattiveria”

Pubblicato il 10 Luglio 2025

Offesa con un commento shock, la giornalista reagisce pubblicamente

Sabrina Scampini, nota giornalista Mediaset e volto del programma Quarto Grado, ha deciso di denunciare pubblicamente un hater, dopo aver ricevuto un commento profondamente offensivo sul suo stato di salute:
“Eh, ha avuto un brutto tumore. Poi purtroppo è guarita.”

Di fronte a tanta crudeltà, Scampini ha scelto di non tacere. In un’intervista all’Adnkronos, ha dichiarato:
“I social vengono usati come un’arma. Non si può scrivere qualsiasi cosa. Quando si parla di malattia o di morte, si supera ogni limite, e io non posso più tollerarlo, nemmeno essendo molto paziente.”

Un attacco che colpisce anche i familiari

La giornalista sottolinea che le offese online non colpiscono solo chi le riceve, ma spesso feriscono anche i familiari:
“Ci sono persone che vanno in depressione, che soffrono moltissimo. Soprattutto i parenti di chi viene attaccato.”

Il problema dei profili fake

Secondo Scampini, uno dei problemi principali dei social è l’anonimato:
“Molti insulti arrivano da account falsi, senza identità. Chiunque può aprire dieci profili e insultare liberamente chiunque.”

In questo caso, l’hater era identificabile, ma nella maggior parte dei casi l’origine dell’odio rimane nell’ombra.

“Sui social c’è troppa libertà: servono regole chiare”

La giornalista ha anche criticato la mancanza di controllo:
“Non si dovrebbe poter scrivere qualunque cosa. Servono limiti e verifiche reali.”
Racconta di ricevere centinaia di messaggi critici ogni volta che esprime opinioni politiche o su casi mediatici, ma afferma di non rispondere mai per non abbassarsi al livello degli haters.

Tuttavia, quando gli attacchi riguardano la salute o creano dolore nei suoi cari, non può più restare in silenzio.

“Segnalazioni inefficaci e lente”

Scampini lamenta che le attuali procedure di segnalazione siano deboli e inefficaci:
“Segnalo sempre chi usa parolacce o esprime odio, ma raramente succede qualcosa. I profili continuano a esistere. È evidente che serve una legge.”

Identità obbligatoria sui social? “Sarebbe il minimo”

Tra le soluzioni proposte, Scampini sostiene l’idea di rendere obbligatoria l’identificazione tramite documento d’identità:
“È assurdo che chiunque possa scrivere dietro una foto finta e un nome inventato come Pippo76. Ma perché?”

Facebook? “L’ho abbandonato”

La giornalista rivela di non accedere più a Facebook da anni, definendolo uno spazio senza regole e ingestibile, dove dovrebbe passare tutto il giorno a contrastare messaggi d’odio.

“Io ho le spalle larghe, ma tanti altri no”

Scampini ammette di essere immune agli insulti personali:
“Non mi toccano. Chi scrive certe cose è frustrato. Non voglio assorbire quella negatività.”
Ma sottolinea che non tutti sono in grado di reagire allo stesso modo:
“C’è chi viene ferito da frasi come ‘sei stupido’, ‘sei ignorante’, ‘sei lì solo perché raccomandato’. A me non fanno nulla, ma ad altri possono fare malissimo.”

“Penso soprattutto ai ragazzi”

Un pensiero va ai più giovani:
“I ragazzi oggi vengono presi di mira per il loro aspetto, per come parlano, per qualsiasi cosa. Ma come può reagire un quattordicenne a tutto questo odio gratuito?”
E aggiunge che, sebbene esistano limiti d’età per l’accesso ai social, non vengono quasi mai rispettati.

Il vero problema? Una questione culturale

Secondo Scampini, non è solo una questione tecnica ma soprattutto culturale:
“L’hater che mi ha scritto era una donna adulta, non un ragazzino. Il problema è che tante persone pensano di poter scrivere qualsiasi cosa.”

“Che problemi hai per insultare chi non conosci?”

Infine, la giornalista riflette sull’assurdità dell’odio gratuito online:
“Perché una persona sente il bisogno di insultare qualcuno che non conosce? Io posso non essere d’accordo, ma non mi metterei mai a offendere. Che problemi hai, davvero?”

Un appello chiaro quello di Sabrina Scampini: servono regole, controlli e responsabilità per rendere i social luoghi più civili.

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