Pubblicato il 9 Ottobre 2025
“Blessed are the peacemakers”: l’annuncio che accende il dibattito
“Blessed are the peacemakers, che siano benedetti gli operatori di pace.” Con queste parole Donald Trump ha annunciato l’accordo tra Israele e Hamas, rivendicando per sé il ruolo di artefice della riconciliazione. L’ex presidente americano, che da mesi si presenta come il vero promotore della pace globale, considera questo successo la prova definitiva del suo merito per il Premio Nobel per la Pace 2025.
Secondo Trump e i suoi sostenitori, l’intesa raggiunta rappresenta il culmine di una lunga serie di iniziative che il leader repubblicano definisce come azioni per porre fine ai conflitti nel mondo. Non a caso, egli stesso ha ribattezzato il Pentagono “Dipartimento della Guerra”, sostenendo di aver fermato sette guerre, ora diventate otto grazie al nuovo accordo mediorientale.
Le pressioni e le dichiarazioni del tycoon
Già da mesi Trump porta avanti una campagna personale per ottenere il Nobel, dichiarando pubblicamente: “Mi merito il Premio Nobel per la Pace, ma non me lo daranno mai”. All’ONU aveva poi ribadito che “tutti dicono che dovrei averlo”, lamentando infine che “verrà dato a qualcuno che non ha fatto nulla”.
Negli ultimi giorni, appelli e sostegni si sono moltiplicati, anche da parte dei familiari degli ostaggi israeliani, che hanno chiesto di premiare Trump per il suo ruolo nella mediazione.
La posizione del Comitato Nobel
Dal Comitato norvegese per il Nobel, che assegna ogni anno il riconoscimento, si apprende che l’ultima riunione si è tenuta lunedì. Il portavoce Erik Aasheim ha confermato la riservatezza assoluta del processo decisionale, sottolineando che non sono previste altre sedute e che ci sarà comunque un vincitore.
Le indiscrezioni, tuttavia, non lasciano presagire buone notizie per Trump.
Gli esperti: “Improbabile che vinca”
Secondo Asle Sveen, storico dei Premi Nobel, è “sicuro al 100% che il vincitore non sarà Trump”. A suo dire, l’accordo Israele-Hamas non ha avuto alcun impatto sulle decisioni del Comitato, già prese in precedenza. Sveen ricorda inoltre che Trump ha sostenuto militarmente Benjamin Netanyahu, fornendogli “carta bianca a Gaza”.
Nonostante le nomine provenienti da leader di diversi Paesi, tra cui Cambogia, Azerbaigian, Pakistan e Ucraina, la maggior parte di esse sarebbe arrivata fuori tempo massimo rispetto alla scadenza del 31 gennaio 2025.
Oslo e la prudenza sul futuro
Nina Graeger, direttrice dell’Istituto di ricerca per la pace di Oslo, ritiene “altamente improbabile che gli sviluppi a Gaza influenzino le decisioni del Comitato”. Tuttavia, aggiunge che “se il piano di Trump porterà a una pace duratura, il Comitato dovrà tenerne conto il prossimo anno”.
Le pressioni internazionali e le reazioni in Norvegia
Il presidente del Comitato, Jorgen Watne Frydnes, ha minimizzato le pressioni politiche provenienti da Washington: “Ogni anno riceviamo migliaia di lettere e richieste, non è certo una novità”. Ha ribadito che il Comitato agisce in piena indipendenza dal governo norvegese.
Tuttavia, secondo alcune fonti locali, Trump avrebbe tentato di coinvolgere Jens Stoltenberg, ex segretario generale della NATO e attuale ministro norvegese delle Finanze, nel tentativo di rafforzare la propria candidatura.
Le critiche al “pacificatore divisivo”
Molti osservatori ricordano che la figura di Trump è lontana dai principi del Nobel per la Pace, assegnato a chi “lavora per la fraternità tra le nazioni e la riduzione degli armamenti”.
Trump, infatti, ha ritirato gli Stati Uniti da organizzazioni internazionali come l’OMS e gli Accordi di Parigi sul clima, e ha condotto politiche fortemente divisive — dai migranti al multilateralismo, fino alle guerre commerciali con alleati e avversari.
Graeger sottolinea infine che la repressione delle proteste, dei giornalisti e degli accademici sotto la sua amministrazione “punta chiaramente in una direzione non pacifica”.
Un Nobel sempre più lontano
Mentre il mondo osserva con attenzione i prossimi sviluppi, cresce la convinzione che il sogno di Trump di essere incoronato “uomo di pace” rimarrà, almeno per ora, irrealizzato.
Le sue azioni e la sua retorica sembrano infatti allontanarlo da quell’ideale di cooperazione e dialogo internazionale che il Premio Nobel per la Pace celebra da oltre un secolo.

