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L’ultimo atto di Martina Oppelli: la denuncia per tortura all’ASL prima del suicidio assistito

Pubblicato il 1 Agosto 2025

Una vita segnata dalla malattia.

Martina Oppelli, 50 anni, triestina, conviveva da oltre vent’anni con la sclerosi multipla. Afflitta da una sofferenza continua e progressivamente invalidante, ha scelto di concludere la propria esistenza in Svizzera, ricorrendo al suicidio medicalmente assistito.

La denuncia all’ASL come ultimo atto

Poco prima di partire per il Paese elvetico, Oppelli ha compiuto un gesto forte e simbolico: ha presentato una denuncia-querela contro l’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (ASUGI). A rappresentarla legalmente, Filomena Gallo, avvocata e segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni.

La donna ha tentato più volte di ottenere l’accesso al suicidio assistito in Italia, ma l’ASL di Trieste le ha respinto la richiesta per tre volte.

Le accuse: rifiuto d’atti d’ufficio e tortura

Nella denuncia, Oppelli ha evidenziato due capi d’accusa principali:

  • Rifiuto di atti d’ufficio, accusando l’ASUGI e i suoi medici di non aver compiuto ciò che la legge prevede, come la rivalutazione delle sue condizioni cliniche, rifiutata con la motivazione che si trattasse di un “costo inutile” per la pubblica amministrazione.
  • Tortura, per averle causato sofferenze fisiche e psicologiche evitabili, aggravate dal mancato riconoscimento del diritto alla morte assistita. La donna ha parlato di trattamento inumano e degradante, inflitto dalle istituzioni che hanno ignorato deliberatamente la sua condizione.

Un’accusa rivolta allo Stato

La denuncia c’è già: è quella di Martina contro lo Stato“, ha dichiarato Marco Cappato, legale di Soccorso Civile e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. A differenza di casi precedenti, Cappato e i suoi colleghi non si sono autodenunciati alle autorità per aver accompagnato Oppelli in Svizzera: la responsabilità, stavolta, è pubblicamente attribuita allo Stato e al servizio sanitario regionale del Friuli Venezia Giulia.

Un appello alla politica

L’ultimo desiderio di Martina era chiaro: “Fate una legge”. Con la sua denuncia e la sua scelta, ha voluto accendere i riflettori sull’assenza di una normativa chiara e giusta sul fine vita, chiedendo rispetto e dignità per chi vive sofferenze insostenibili.

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