Pubblicato il 4 Novembre 2025
È scomparso a Milano, all’età di 94 anni, Giorgio Forattini, uno dei più grandi vignettisti italiani del Novecento. Per decenni è stato una firma storica di “Repubblica”, ma anche protagonista sulle pagine di “Paese Sera”, “Panorama”, “L’Espresso”, “La Stampa” e “Il Giornale”. Con la sua matita pungente, ha raccontato la storia politica italiana, trasformando in caricature memorabili i volti del potere.
Il disegnatore che raccontava la Prima Repubblica
Forattini è stato il cronista satirico della Prima Repubblica, capace di immortalare figure come Andreotti, Craxi, Pertini, Spadolini, Berlinguer, Agnelli e persino il Papa. La sua ironia non risparmiava nessuno, né a destra né a sinistra. Celebre la raffigurazione di Craxi in uniforme mussoliniana, simbolo di un potere tronfio e autoritario, ma anche le caricature di Prodi in tonaca da prete, Veltroni come bruco o Renzi nelle vesti di Pinocchio.
In tutta la sua carriera, Forattini ha realizzato oltre 14.000 vignette, poi raccolte in decine di volumi che hanno venduto più di tre milioni e mezzo di copie.
Dall’operaio al vignettista più temuto
Nato a Roma il 14 marzo 1931, in una famiglia borghese, Forattini fu un giovane ribelle: si sposò presto, abbandonò gli studi di Architettura e fece diversi lavori, dall’operaio al rappresentante. Solo negli anni ’70, già quarantenne, scoprì la sua vera vocazione artistica.
L’esordio arrivò con “Paese Sera”, dove creò una striscia quotidiana che lo fece notare per la sua ironia tagliente. Rimase famosa la vignetta del referendum sul divorzio del 1974, in cui Amintore Fanfani, contrario alla legge, veniva rappresentato come un tappo di spumante “No” che vola via: un piccolo capolavoro di satira politica.
L’era “Repubblica” e le vignette che fecero storia
Nel 1976 partecipò alla fondazione di “la Repubblica” con Eugenio Scalfari, diventando presto una delle firme più riconoscibili del giornale. Le sue vignette, spesso più incisive di un editoriale, sapevano far ridere e riflettere allo stesso tempo.
Tra le più celebri, quella del 1977 su Francesco Cossiga, raffigurato travestito da manifestante armato dopo l’uccisione di Giorgiana Masi, e quella su Enrico Berlinguer, dipinto come un borghese infastidito dal rumore degli operai in corteo.
Nel 1992, dopo la strage di Capaci, realizzò un’immagine potentissima: la Sicilia trasformata nella testa di un coccodrillo, simbolo del dolore e della ferocia mafiosa.
Polemiche e rotture: un artista senza bandiere
Forattini fu sempre un provocatore libero, e questo gli costò più di un conflitto con le redazioni. Negli anni ’90, la sua satira divenne sempre più dura verso il centrosinistra, in contrasto con la linea di “Repubblica”.
La rottura definitiva arrivò nel 1999, dopo una querela di Massimo D’Alema, allora premier, per una vignetta che lo ritraeva mentre cancellava nomi dalla lista Mitrokhin. Sentendosi, a suo dire, poco difeso dal giornale, Forattini lasciò “Repubblica” e tornò a “La Stampa”.
Gli ultimi anni e l’eredità di un genio della matita
Nel 2006 approdò a “Il Giornale”, ma anche lì non mancarono le frizioni: una vignetta su Silvio Berlusconi nudo venne rifiutata, segnando un nuovo addio. In seguito collaborò con “Il Resto del Carlino”, “La Nazione” e “Il Giorno”, continuando a disegnare fino agli ultimi anni.
Il segreto del suo successo? Un’ironia feroce ma mai davvero cattiva, capace di smascherare i potenti con leggerezza e spirito goliardico. Come amava dire lui stesso: «Il forattinismo è la dissacrazione della politica. Intuivo il tallone d’Achille dei leader e li trafiggevo con la mia matita». Foto: wikipedia

