“Ho fatto piangere il Brasile” come titolò la sua autobiografia. Ma ora a piangere siamo noi, per un campione che ha scaldato i nostri cuori, ma umile e schivo, simile a tutti noi. Se n’è andato a soli 64 anni per un male incurabile Paolo Rossi, il giocatore che ci ha fatto vincere il Mondiale dell’82, pochi giorni dopo un altro mito del calcio, Diego Armando Maradona.
Attaccatissimo alla maglia azzurra, quarant’anni fa quando vincemmo, faceva parte di un gruppo che si voleva bene. Ne voleva lui ai compagni, al maestro Bearzot, schivo anch’egli, e in quel pomeriggio al Sarrià di Barcellona, quando schiantò con tre gol il fortissimo Brasile, tutto il mondo lo conobbe come Pablito.
Così l’hanno poi chiamato le folle. Segnò anche in finale contro la Germania, aveva segnato contro la Polonia in semifinale, segnava sempre, trovandosi al centro dell’azione in ogni momento e quasi gabbando i giganti della difesa, lui così mingherlino.
Ha giocato nella Juve, Como, Perugia, Milan e Verona, conquistato un Pallone d’Oro, vissuto sfide internazionali magiche, vivendo una gloria planetaria, ma è a Vicenza che ha lasciato sempre il cuore. La squadra che un giorno fece sudare alla Juventus la conquista dello scudetto, maneggiata da un allenatore burbero, Gibì Fabbri, con un presidente, Farina, che si svenò per lui scrivendo una cifra folle alle buste che valevano la comproprietà del giocatore, pur di non farlo andare via.
Quelli del Vicenza e della Nazionale sono stati i suoi tempi migliori. Ci mancheranno il suo scatto rapido e ficcante, i suoi sorrisi timidi, la voce bassa con cui rispondeva alle domande dei cronisti. Ci mancherà, Pablito.
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