Per il giudice, la richiesta della difesa, per di più svolta al di fuori del contraddittorio, “potrebbe condizionare, una volta veicolata nel processo con una relazione consulenziale, il necessario processo interpretativo del giudice, pretendendo di ancorarlo a un dato scientifico, e come tale autorevole, estratto dalla sola sfera interiore e solipsistica del soggetto agente, piuttosto che a una valutazione della sua intenzione necessariamente tratta dai dati di manifestazione esterna della sua condotta”.
Non è questa, in sintesi, la fase per la formulazione di un quesito per valutare le condizioni della donna arrestata lo scorso 20 luglio.
Un no alla consulenza che arriva anche in considerazione di quanto accertato: “L’indagata non ha mai avuto, nella sua vita, nessuna storia di disagio psichico né tanto meno di psico-patologia, e che anche dopo l’ingresso in carcere, come attestano le tre relazioni del Servizio di psichiatria interna del carcere di San Vittore, si è sempre dimostrata consapevole, orientata e adeguata, nonché in grado di iniziare un percorso, nei colloqui psicologici periodici di monitoraggio, di narrazione ed elaborazione del proprio vissuto affettivo ed emotivo” scrive il giudice.
“La giustizia nega il diritto di difendersi con le prove, come se le neuroscienze fossero qualcosa che può entrare nel processo solo per valutare l’infermità mentale quando invece studiano i percorsi cognitivi e l’intenzionalità di tutte le attività umane. La difesa di Alessia Pifferi non può arrendersi di fronte all’ennesimo diniego finalizzato a capire cosa sia successo nel cervello della propria assistita. È troppo facile chiudere la partita bollando Alessia come un mostro, bruciandola sul rogo mediatico” il commento dell’avvocato Solange Marchignoli che insieme al collega Luca D’Auria difende la donna accusata di omicidio aggravato.
Il prossimo 14 ottobre accusa e difesa si ritroveranno nell’aula del gip Filice per concludere la nomina dei consulenti che dovranno eseguire l’incidente probatorio: verrà nominato (oltre ai professionisti già indicati nella scorsa udienza) anche un genetista per procedere all’analisi del contenuto del biberon, di una bottiglia d’acqua e della boccetta di En (benzodiazepine) trovati accanto alla culla della piccola trovata morta.
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