Pubblicato il 9 Aprile 2025
Niente più “madre” e “padre” sulle carte d’identità, ma un’unica dicitura neutra: “genitore”. È questo il cuore di una sentenza rivoluzionaria della Corte di Cassazione, la n. 9216/2025, che ha respinto il ricorso del Ministero dell’Interno e segnato un importante passo avanti nel riconoscimento delle famiglie omogenitoriali, le cosiddette famiglie arcobaleno.
La Suprema Corte ha stabilito che escludere da un documento ufficiale, come la carta d’identità elettronica, la reale composizione familiare di un minore è discriminatorio e illegittimo. In particolare, ha evidenziato come questo possa privare il bambino di un diritto fondamentale, ossia avere un documento che rispecchi la sua realtà affettiva e giuridica.
La decisione nel dettaglio
La questione è ancora in attesa del parere della Corte Costituzionale, ma la Cassazione ha già dato un segnale chiaro: il decreto del Ministero dell’Interno del 2019, che imponeva la dicitura “madre” e “padre”, può essere disapplicato.
I giudici hanno confermato la sentenza della Corte d’Appello di Roma, che aveva accolto il caso di un minore con due madri. Secondo la Cassazione, impedire al bambino di ottenere un documento valido per l’espatrio solo perché ha un genitore biologico e uno adottivo dello stesso sesso è un effetto “irragionevole e discriminatorio”.
La Corte d’Appello, tenendo conto del fatto che la compagna della madre naturale era stata riconosciuta come madre adottiva, non ha potuto fare altro che ignorare il decreto ministeriale del 31 gennaio 2019.
Le implicazioni future
La scelta di sostituire le etichette “madre” e “padre” con il termine “genitore” riapre un dossier delicato: la registrazione anagrafica dei figli delle coppie omogenitoriali. Alcuni comuni, come Milano, avevano già iniziato a riconoscerli, ma nel 2023 il Ministero dell’Interno ha bloccato la pratica con una serie di circolari prefettizie.
Le trascrizioni erano state fermate per bambini con due padri, nati all’estero tramite gestazione per altri, e per figli di due madri, nati in Italia grazie alla procreazione medicalmente assistita. Ora, grazie alla nuova sentenza, il decreto del 2019 può essere messo da parte, aprendo la strada a una maggiore inclusione e rispetto per tutte le forme di famiglia.