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Confindustria: “Italia in risalita, ma l’esito è condizionato all’avanzamento della vaccinazione di massa”

Pubblicato il 10 Aprile, 2021

Il Centro studi Confindustria prevede un graduale recupero del Pil italiano, concentrato nella seconda metà di quest’anno, arrivando al +4,1% nel 2021 e al +4,2% nel 2022. A fine 2022 l’economia dovrebbe colmare la voragine aperta nel 2020 dalla pandemia. Rispetto allo scenario di ottobre, per il 2021 si ha una revisione al ribasso di 0,7 punti. Questa previsione è condizionata all’avanzamento della vaccinazione di massa in Italia ed Europa: l’ipotesi è che il Covid sia contenuto in modo efficace dai prossimi mesi. Un importante contributo alla risalita del Pil sarà fornito dagli effetti derivanti dalle risorse europee che spetterebbero all’Italia: secondo una simulazione econometrica Csc, senza il programma NG-EU il recupero del Pil sarebbe minore di 0,7% nel 2021 e di 0,6% nel 2022.

Le esportazioni italiane, in profonda caduta nel 2020 (-13,8%), risaliranno dell’11,4% nel 2021 e del 6,8% nel 2022, sostenute dalla ripresa della domanda mondiale. Le vendite all’estero di beni sono attese recuperare già nel 2021, grazie al rimbalzo della domanda Ue e Usa; quelle di servizi, invece, zavorrate dalla crisi del turismo, sono attese chiudere il gap solo alla fine del biennio, riprendendo slancio con l’uscita dall’emergenza pandemica nel mondo.

Dopo l’ampia perdita nel 2020 (-9,1%), gli investimenti sono previsti aumentare a ritmi elevati. Nel 2021 del +9,2%, anche se gran parte del recupero è stato già “acquisito” nella seconda parte del 2020. Nel 2022 oltre i valori pre-Covid (+9,7%), grazie al migliore contesto internazionale. Gli investimenti privati saranno frenati dal debito “emergenziale” delle imprese: secondo una simulazione econometrica CSC, un allungamento del rimborso dei debiti avrebbe un impatto positivo sul Pil di +0,3% nel 2021 e di +0,2% nel 2022. Il recupero degli investimenti sarà sostenuto da quelli pubblici, con incrementi del +19% annuo nel 2021-2022, fino al 3,6% del PIL.

La ripartenza dell’economia italiana è complicata dal forte rincaro delle materie prime, accentuatosi a inizio 2021, che riguarda i metalli e gli alimentari, oltre al petrolio. Sebbene in prospettiva alcuni di questi rialzi dovrebbero essere temporanei, eserciteranno una pressione al ribasso sui margini delle imprese italiane e sul loro cash flow nel 2021, che si somma al problema di fatturati già compressi nel 2020. Nella risalita dell’economia attesa per il 2021, si avrà un riallungamento delle ore lavorate pro-capite; il numero di persone occupate, invece, è atteso ancora in calo (-1,7%), dopo la flessione limitata al -2,8% nel 2020 (770mila occupati in meno nel quarto trimestre 2020 rispetto a fine 2019). Nel 2022, secondo anno di risalita del Pil, ci sarà spazio anche per un recupero del numero di occupati (+1,4%, pari a +313mila unità).

Il deficit pubblico è stimato in graduale calo ma su valori ancora elevati: 7,8% del Pil nel 2021 e 4,8% nel 2022, dal picco di 9,5% nel 2020 legato alla caduta del Pil e alle misure adottate per fronteggiare la crisi pandemica. Il debito pubblico in rapporto al Pil, dopo il balzo di 21 punti nel 2020, arriverà al 155,7% quest’anno. Poi inizierà a scendere, al 152,9% nel 2022, per il miglioramento del deficit e la risalita del Pil. Cruciale, in questa situazione di alti debiti, è preservare la fiducia riconquistata dall’Italia sui mercati finanziari. Il tasso di interesse sui Btp decennali è sceso ai minimi storici (0,6% a marzo): un elemento molto favorevole dello scenario.

Per quanto riguarda l’indebitamento delle imprese italiane, che si erano rafforzate patrimonialmente prima della crisi, hanno fatto un massiccio ricorso ai prestiti “emergenziali” nel 2020, così come è successo negli altri principali paesi europei. Lo strumento di policy maggiormente utilizzato in Europa è la garanzia pubblica per prestiti bancari, ma altre misure hanno un ruolo rilevante: in Italia, la moratoria sui prestiti pre-esistenti, specie per le Pmi; in Germania, varie misure per la patrimonializzazione delle imprese, che hanno permesso un calo dei prestiti già nella seconda metà del 2020.

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