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Eutanasia alla madre che uccise i 5 figli: “Sofferenza insopportabile” (VIDEO)

Pubblicato il 3 Marzo, 2023

“Non c’è soluzione al problema. Ho preso la decisione di andarmene con i miei bambini, molto lontano, e per sempre. Michel Schaar è un farabutto chi mi ha rovinato la vita, mi ha rubato l’intimità con i miei figli e mio marito. Me ne sono andata dalla casa dei miei genitori e sono piombata da un inferno a un altro”.

Così Geneviève Lhermitte scrisse all’amica Valéria in una lettera prima della strage.

Martedì, esattamente 16 anni dopo il giorno della strage, Geneviève Lhermitte ha ottenuto l’eutanasia all’ospedale Léonard de Vinci di Montigny-le-Tilleul, circa 60 chilometri a sud di Bruxelles.

Si chiude così una vicenda che sconvolse l’opinione pubblica belga e europea e che è stata portata al cinema nel 2012 dal regista Joachim Lafosse con il film “A perdre la raison”.

In virtù di una legge del 2002 in Belgio l’eutanasia è autorizzata per porre fine a una sofferenza fisica ma anche psichica, che venga accertata come “costante, insopportabile e ineliminabile”.

Geneviève Lhermitte, che uccise i suoi cinque figli, ha manifestato la sua volontà “in modo ragionato e ripetuto”, secondo i requisiti richiesti dalla legge, e quindi è stata aiutata a morire.

Il processo svelò una vicenda famigliare sconvolgente, tra apparente normalità e aspetti poco limpidi.

Geneviève Lhermitte ha avuto un’infanzia segnata dalla durezza dei genitori, anaffettivi, ricostruisce il Corriere.

Ha incontrato Bouchaïb Moqadem ventenne, nel 1990, si è sposata e nel 1992 è nata la prima figlia, Yasmine. Dopo una prima depressione post-partum, la donna ha lasciato l’insegnamento per restare a casa.

Il marito, abbandonati gli studi di matematica e fisica, si dedicava a piccoli lavori ma la famiglia era di fatto mantenuta dal dottor Michel Schaar, l’uomo che aiutò Bouchaïb a trasferirsi dal Marocco al Belgio, e che era il padrino dei cinque figli. 

La figura del dottor Schaar è sempre rimasta ambigua, tra benefattore e presenza invadente: viveva un paio di giorni alla settimana con la famiglia, sposò una sorella di Bouchaïb Moqadem per poi divorziare ma si sospetta un matrimonio bianco, per permettere alla donna di trasferirsi in Belgio. 

Durante il processo Geneviève Lhermitte ha evocato violenze subite dal marito e il fatto che fosse costretta a vivere praticamente reclusa, senza potere vedere sua sorella se non di nascosto.

Il dottor Michel Schaar e il marito Bouchaïb Moqadem si sono sempre difesi dicendo che la donna gettava su di loro la responsabilità di un crimine che lei stessa non riusciva ad accettare. 

Il marito in particolare ha dipinto una famiglia certo non perfetta ma piuttosto felice, con cinque bambini vivaci e brillanti a scuola, e ha negato di avere commesso violenze. 

Nel 2010 l’uomo si è risposato ed è padre di una bambina.

Nel 2019 Michel Schaar ha rilanciato le pratiche per adottare ufficialmente Bouchaïb Moqadem. 

Dopo la condanna all’ergastolo, Geneviève Lhermitte aveva ottenuto la semi-libertà e il ricovero in clinica psichiatrica. Lo zio materno della donna, André, negli ultimi tempi la accoglieva a casa nei fine settimana.

“Cercavo di non pensare a quello che aveva fatto. Volevo renderle la vita più serena possibile, dovevo farlo, per umanità. Ma non era facile neanche per me. Vagava per la casa, faceva una passeggiata, cenavamo assieme. Ha scontato la sua pena mille volte nella testa, la gente deve capire. Ma non le era più possibile vivere”.

La casa dove vivevano Geneviève Lhermitte, Bouchaïb Moqadem, i loro cinque figli e il dottor Michel Schaar, del valore di circa 300 mila euro, è stata venduta nel 2012 per 195 mila.

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