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Francia

La Francia rifiuta definitivamente l’estradizione in Italia di Pietrostefani e altri 10 brigatisti

Pubblicato il 28 Marzo, 2023

La Cassazione d’oltralpe ha confermato il rifiuto della Francia all’estradizione dei 10 ex Br degli anni di piombo in Italia. 

Il rifiuto di accogliere il ricorso alla Corte di Cassazione sull’estradizione di 10 ex militanti di estrema sinistra italiani, in gran parte ex delle Brigate rosse, rifugiati in Francia dopo gli “Anni di Piombo”, era prevedibile.

Per i 10 , di cui 8 uomini fra i quali Giorgio Pietrostefani, condannato per l’omicidio Calabresi, e 2 donne (le ex Br Marina Petrella e Roberta Cappelli), il tribunale francese aveva già negato, il 29 giugno dello scorso anno, l’estradizione chiesta dall’Italia.

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La presidente della Chambre de l’Instruction aveva motivato il rifiuto con il rispetto della vita privata e familiare e con il diritto a un processo equo, garanzie previste dagli articoli 8 e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, il giorno dopo, aveva però affermato che “quelle persone, coinvolte in reati di sangue, meritano di essere giudicate in Italia”.

Di conseguenza, il procuratore generale della Corte d’appello di Parigi, Rémy Heitz, in rappresentanza del governo, aveva immediatamente presentato un ricorso alla Corte di Cassazione, ritenendo necessario appurare se gli ex terroristi condannati in Italia in contumacia beneficeranno o meno di un nuovo processo se la Francia li consegnerà.

Lo stesso procuratore contestava la decisione del tribunale sulla presunta violazione della vita privata e familiare degli imputati.

Il nome più noto dell’elenco dei dieci italiani arrestati due anni fa in Francia nell’operazione chiamata “Ombre rosse”, subito rilasciati e di cui il governo di Roma continua a chiedere l’estrazione già negata dalla corte d’appello di Parigi è anche l’unico che non ha mai fatto parte di una banda armata. Giorgio Pietrostefani è stato un dirigente di Lotta continua (gruppo extraparlamentare di sinistra da cui suono fuoriusciti futuri militanti di organizzazioni terroristiche, ma non lui) che ha sempre agito alla luce del sole tranne quando, secondo la sentenza di condanna, partecipò alla pianificazione dell’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi, assassinato a Milano il 17 maggio 1972. Pietrostefani, che compirà ottant’anni a novembre, andò in Francia alla vigilia dell’ultimo verdetto mentre gli altri due condannati (Adriano Sofri e Ovidio Bompressi, che come lui si sono sempre proclamati innocenti) decisero di rientrare in carcere per scontare la pena. E lì è rimasto al riparo dall’estradizione fino all’operazione di polizia che due anni fa ha riaperto la partita fra Italia e Francia.

Altre sei persone comprese in quella lista aderirono invece alle Brigate rosse, e tra loro due donne condannate all’ergastolo: Marina Petrella, 68 anni, e Roberta Cappelli, 67, entrambe aderenti alla colonna romana delle Br. Petrella è tra responsabili dell’omicidio del generale Enrico Galvaligi, ucciso la sera del 31 dicembre 1980, e fu coinvolta anche nel sequestro del giudice Giovanni D’Urso, rapito a dicembre ‘80 e rilasciato il mese successivo. Lei nel 2008 fu arrestata a Parigi e i giudici francesi stavano per estradarla quando l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy decise di non riconsegnarla all’Italia, in considerazione delle sue precarie condizioni di salute e per l’interessamento diretto della cognata del presidente, l’attrice italiana Valeria Bruni Tedeschi, che era andata a visitarla in carcere.

Anche Cappelli è stata condannata per il delitto Galvaligi, a cui si aggiunge l’omicidio dell’agente di polizia Michele Granato, assassinato un anno prima, nel novembre ‘79. Tra i reati addebitati alle due ex brigatiste c’è poi il ferimento del vice-questore della Digos di Roma Nicola Simone, colpito il 6 gennaio 1982. Per quell’attentato fu ritenuto responsabile pure Giovanni Alimonti, 67 anni, riparato da tempo in Francia, che dovrebbe scontare – secondo i calcoli della magistratura italiana – undici anni e mezzo di prigione. Delle Br hanno fatto parte anche Enzo Calvitti, 68 anni, condannato a 18 anni e 7 mesi di prigione per associazione sovversiva, banda armata, associazione con finalità di terrorismo e altri reati, e Maurizio Di Marzio, 62 anni, che dovrebbe espiare una pena (ormai prescritta, a meno di atti interruttivi sui quali pure sono in corso dispute legali) di cinque anni e nove mesi.

E poi Sergio Tornaghi, 65 anni, unico “non romano” tra gli ex brigatisti coinvolti in “Ombre rosse”, militante della colonna milanese intitolata a Walter Alasia: dovrebbe scontare l’ergastolo per l’uccisione di Renato Briano, direttore generale della “Ercole Marelli”, assassinato la mattina del 12 novembre 1980 all’interno della metropolitana, mentre andava al lavoro. Tornaghi – come gran parte degli ex terroristi di cui l’Italia è tornata a chiedere la consegna – era già stato arrestato nel 1985, e poi scarcerato dopo che la Chambre d’accusation francese aveva negato l’estradizione. A completare l’elenco dei dieci italiani che il governo italiano continua a reclamare ci sono tre ex appartenenti a formazioni cosiddette «minori» del terrorismo italiano.

Uno è Narciso Manenti, 65 anni, condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’appuntato dei carabinieri Giuseppe Gurrieri, freddato a Bergamo il 13 marzo 1979, nella sala d’aspetto del medico dove aveva accompagnato il figlio di 10 anni, per una visita. L’attentato fu rivendicato da Guerriglia proletaria, sigla considerata vicino a Prima linea. Un altro è Luigi Bergamin, oggi settantaquattrenne, con una pena di 16 anni e 11 mesi di reclusione per vari reati tra i quali gli omicidi dell’agente della Digos milanese Andrea Campagna e del maresciallo della polizia penitenziaria Antonio Santoro; sono due dei quattro delitti consumati dai Proletari armati per il comunismo confessati da Cesare Battisti al suo rientro in Italia, dopo la cattura avvenuta a gennaio 2019 che pose fine a una lunga latitanza vissuta in larga parte proprio in Francia, da cui fuggì nel 2004 per evitare una probabile estradizione, e successivamente in Brasile. La pena di Bergamin era stata dichiarata “estinta per prescrizione” dalla Corte d’appello di Milano, ma una sentenza della Cassazione ha successivamente annullato quel verdetto.

L’ultimo della lista è Raffaele Ventura, 73 anni, già militante delle Formazioni comuniste combattenti, condannato a 24 anni e 4 mesi per l’omicidio del brigadiere di polizia Antonio Custra ucciso a Milano il 14 maggio 1977, durante i furiosi scontri di piazza in cui fu scattata la famigerata foto del giovane incappucciato, armato di pistola, con le gambe piegate mentre prende la mira ad altezza d’uomo.

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