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“Un genitore a cui muore un figlio fa paura”: la lotta della madre di Cranio Randagio

Pubblicato il 15 Marzo, 2022

“Un genitore a cui muore un figlio fa paura, il nostro lutto rappresenta un tabù da cui tenersi a distanza. E allora si finisce per isolarsi e allontanare gli altri, quelli che davanti alla tua sofferenza hanno espressioni contrite ma non sanno cosa dire. Io sono riuscita faticosamente a rialzarmi, ma altri restano emarginati”, così Carlotta Mattiello, la madre di Vittorio Andrei, il rapper Cranio Randagio, celebrità di X Factor morto a 21 anni,  il 12 novembre del 2016, per un mix fatale di droghe, durante una festa a Roma tra amici finita in tragedia.

Mattiello è anche la vicepresidente di “Save the parents”, l’associazione di promozione sociale per il sostegno di genitori in lutto nata tre anni fa che venerdì 25 marzo a Roma, nell’Aula 3 della Facoltà di Medicina e psicologia, insieme all’università La Sapienza organizza il convegno internazionale “Il lutto persistente complicato nei genitori defigliati”.

Accanto a  docenti e specialisti, tra cui spicca Holly G. Prigerson della Weill Cornell Medicine University che ha fornito i migliori contributi internazionali negli studi sul lutto, ci sarà, tra i moderatori, Andrea Romano, il deputato Pd che lo scorso anno ha perso un figlio e ci saranno le testimonianze dei genitori di Save the parents, che presenterà anche il suo “manifesto politico e sociale dei bisogni dei genitori defigliati”. 

Secondo gli ultimi dati Istat, nel quinquennio 2014-2018 in Italia si sono registrate circa 17.400 morti di bambini, adolescenti e giovani adulti da zero a 29 anni. Significa che ogni anno circa 34.800 tra madri e padri si trovano a dover affrontare uno degli eventi traumatici più invasivi, alle prese con un dolore riconosciuto dalla comunità scientifica come uno dei più intensi e duraturi tra le tipologie di lutto.

Difficile immaginare qualcosa di più psicologicamente e fisicamente devastante di un evento contronatura come la perdita di un figlio, destinato ad abbattersi come uno tsunami non solo sulla vita dei genitori ma sull’intera famiglia: “Abbiamo organizzato il convegno proprio per dare dignità scientifica al nostro dolore e iniziare a parlare di un mondo di cui si sa pochissimo, sensibilizzando il mondo della politica e del sociale”, chiarisce la mamma del rapper, che domani sarà, come sempre, anche in aula per la nuova udienza del processo, iniziato alla fine dello scorso anno, che punta a far luce su come siano andate davvero le cose a quella tragica festa in cui il suo Vittorio perse la vita.

“Il processo è devastante, ogni udienza ti riporta nel baratro”, spiega Mattiello, vedova e madre di altri due figli più piccoli di Vittorio, Sergio, 24 anni e Giovanni 18, che deve la sua tenuta alla sua capacità di resilienza, ma anche a Save the parents, unica realtà laica che si occupa di genitori che hanno perso un figlio, chi per malattia, chi per un incidente stradale, chi come lei per un evento traumatico. Condizione in ogni caso sconvolgente e non prevista in natura, tanto che, per aggiungere tabù a tabù, nella lingua italiana non è stata coniata una terminologia dedicata: l’Accademia della Crusca ammette il “defigliato”, mutuato dal vocabolario spagnolo e francese, suggerisce anche “orbato”, ma ha chiarito che al momento non esiste una parola ad hoc.

Se la prima reazione di chi ha perso un figlio è dedicarsi a preservare la sua memoria, con manifestazioni o associazioni dedicate, Save the parents che ha sede a Roma, nel quartiere San Lorenzo, ha come missione quella di occuparsi della tenuta psicologica di chi resta: “I genitori che hanno perso un figlio continuano a vivere, devono restare in questo mondo, andare al lavoro e occuparsi di altri figli se ci sono” sottolinea Mattiello, raccontando di famiglie disgregate, di un pilota di che non è più riuscito a decollare perdendo il posto di lavoro, di disturbi post traumatici, depressione, autolesionismo e di handicap emotivi vari e persistenti.

Save the parents punta su terapie di gruppo, otto genitori in tutto a seduta, sia coppie sia single: “La morte di un figlio ti porta all’incapacità di comunicare con gli altri, e il gruppo ti dà la possibilità di condividere e specchiarti nelle storie di chi ha vissuto lo stesso dramma, di non sentirti solo -spiega- dopo la terapia mangiamo anche tutti insieme, per una decantazione del dolore”. Nella prima seduta ci si presenta, si racconta la storia del figlio che non c’è più e poi la psicoterapeuta pone la domanda shock: “Ora vuoi morire anche tu o continuare a vivere?”, primo passo di un percorso di recupero. Altro elemento ad alto tasso emotivo, la stanza del figlio, sviscerata anche cinematograficamente da Nanni Moretti: “Ci sono genitori che la  conservano intatta, incapaci di spostare anche un singolo oggetto”.

Lei la stanza di Vittorio ha cominciato a svuotarla da subito, distribuendo i ricordi di suo figlio ai suoi amici più cari: “Li ho fatti venire a casa e gli ho consegnato un pezzo di Vittorio, chi una felpa, chi un libro e poi ho messo in un baule le cose più importanti”. Gli altri due figli hanno preso il resto del guardaroba “e lo indossano con grande fierezza”.

La presenza di altri figli è un altro dei punti drammatici, racconta, che vengono affrontati nella terapia di gruppo: “Tra noi c’è un eterno dibattito, ci chiediamo se abbia più possibilità di risollevarsi chi ne ha altri  o chi ha perso l’unico che aveva – spiega – la solitudine può essere devastante, ma  tanti genitori sono destinati a vivere nell’eterna angoscia che possa succedere qualcosa anche agli altri figli. In questa “gara” non ci sono vincitori né vinti”.

Qualcuno riesce in qualche mondo a farcela, per altri il lutto persistente e complicato, così come è stato definito quello che deriva dalla perdita di un figlio resta avvinghiato sulle spalle, compromettendo tutta la vita. Proprio per questo durante il convegno internazionale l’associazione presenterà il suo “manifesto politico e sociale dei bisogni dei genitori defigliati”: dal  riconoscimento di congedi lavorativi materni e paterni più lunghi degli attuali per chi affronta la perdita di un figlio, al sostegno psicologico e psicoterapeutico individuale e di gruppo per genitori “defigliati”. Ma si chiede anche  la formazione dei medici e delle forze dell’ordine, per far sì che la comunicazione della notizia che nessuno al mondo vorrebbe mai sentire venga posta come si deve.

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