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Google e Facebook i giganti del web: quanto costa davvero un Like?

Monetizzare, è chiaro che proprio questo è il verbo che ruota intorno a Google e Facebook. Infatti, chiunque oggi approdi sul web ha un duplice obiettivo: farsi conoscere ma soprattutto monetizzare.

Pubblicato il 7 Dicembre, 2021

Alphabet-Google e Meta-Facebook, sono i due gruppi che da soli catturano più di metà dei budget globali delle inserzioni su Internet, e parliamo di circa 2700 miliardi di dollari che è il valore di borsa aggregato per i 2 giganti del web.

Già questo ci fa rendere conto di quanto vasto sia il giro d’affari che ruota intorno al web, con i suoi like, le nostre facce sorridenti e i nostri cibi più amati. 

Monetizzare con Facebook e Google

Monetizzare, è chiaro che proprio questo è il verbo che ruota intorno a Google e Facebook. Infatti, chiunque oggi approdi sul web ha un duplice obiettivo: farsi conoscere ma soprattutto monetizzare. Che significa poi, investire una fetta del proprio capitale per arrivare in ogni più remota parte del mondo, allo scopo di ottenere un guadagno.

In che modo? In un certo senso è piuttosto semplice. Innanzitutto i maggiori investimenti si fanno nei due colossi del web: l’onnipresente Facebook e l’onnipotente Google che, nel corso del tempo si è accaparrato la fetta maggiore di ricerche sul web ma non solo.

Fissato questo primo punto, e cioè quali sono i 2 pilastri a cui rivolgersi per poter veicolare il proprio capitale, si procede alla fase pratica.

Si sceglie quanto investire e poi attraverso una fitta rete di strumenti dedicati si possono costruire delle offerte che si tramutano in inserzioni e post sponsorizzati, nel caso di Facebook, in inserzioni mirate per investimenti nella galassia degli strumenti Google. E a colpi di click si effettuano le proprie scelte.

E attenzione, perchè, facebook permette di raggiungere 1,6 miliardi di persone, Google soltanto con Youtube registra 15 miliardi di visualizzazioni al giorno

All’apparenza tutto troppo bello. Cifre da capogiro al punto che già si intravede lo spiraglio del guadagno eppure dietro questo semplice sistema, basato su like, ricerche e “stelline del piacere”, in realtà potrebbe nascondesi anche qualche inconveniente.

E’ il caso della storia raccontata oggi dal Corriere della Sera, in cui Federico Fubini e Martina Pennisi narrano di Anna Tosi a capo di un’agenzia di ragazze alla pari a Torino che prima della pandemia aveva deciso di reclutare personale tramite Facebook. 

Scrivono le due penne del Corriere che l’imprenditrice ancora oggi, di notte, è svegliata da voci disperate di persone che vivono in Paesi esteri e cercano lavoro, un visto, un modo per andar via dal proprio territorio. Facebook in sintesi, ha monetizzato la sua richiesta, ma la risposta è stata evidentemente incongruente.  Quindi domanda e risposta non collimano.

Certo, disinvestire è facile ma, le conseguenze del lavoro operato dai due “mostri del web” è ancora piuttosto evidente. Come evidente è anche il fatto che Google e Facebook detengono dati importanti e su questi costruiscono il loro successo ma non solo, visto che offrono pubblicità a prezzi più elevati rispetto al mercato tradizionale. E sono addirittura in grado si stabilire il prezzo di questa forma di advertising.

Bolla o realtà digitale?

E questa è la vera forza del duopolio che si traduce in vantaggi commerciali e quotazioni azionarie stratosferiche. Una bolla o realtà digitale? 

Il problema è che i grandi colossi partono dal presupposto che le piccole e medie aziende siano pronte ad investire anche importanti somme di denaro a scatola chiusa, proprio nella convinzione che quell’investimento porti a un sicuro guadagno.

Certo però è che il caso di Anna Tosi fa comprendere che man mano che si va oltre, la platea di persone che afferiscono ai due i sistemi diventa sempre più ampia e questo implica l’incapacità o meglio la non utilità ad andare a verificare quelle che sono le peculiarità delle persone a cui arriva il messaggio. Insomma si basa sulla teoria del “facciamo di tutta l’erba un fascio”.

E quindi, non sempre i risultati corrispondono alle aspettative. In questo caso si corre il rischio che la bolla (come quella determinata dai mutui cd subprime, cioè concessi a persone con un trascorso burrascoso, come chi è incorso in una bancarotta) scoppi.

La bolla speculativa

E infatti lo scoppio di una bolla speculativa (e questo ce lo spiega la consob) può essere causato, tipicamente, dalla saturazione del mercato, ossia dall’assenza di investitori disposti ad effettuare ulteriori acquisti a un prezzo che nel frattempo è diventato elevato, dall’incentivo a disinvestire per monetizzare il guadagno, ovvero dalla revisione delle prospettive di profitto.

Lorenzo Sassoli de Bianchi che è presidente dell’Upa, l’associazione italiana degli investitori in pubblicità, intervistato dal Corriere della Sera spiega a chiare lettere che “le inserzioni basate sull’uso dei dati costano di più perché si presuppone che ci sia una maggiore focalizzazione su target più mirati”.

Sassoli, quindi nutre delle riserve: «Regna un’opacità totale da parte delle Big Tech — accusa —. I loro dati sulle visualizzazioni dei contenuti sono autoprodotti. Dunque l’efficacia della pubblicità programmatica è solo presunta”.

Insomma la realtà che ci troviamo di fronte, andando ad esaminare i Grandi del web ci conduce in una via sempre più stretta. I lilke e i gusti degli utenti sono in primo piano e consentono a queste aziende di guadagnare ma senza effettivamente garantire la scelta effettuata.

Quindi sembra ovvio che questo durerà fintantochè non troveremo risposte univoche alla domanda: “quanto è saldo l’architrave dell’intera economia digitale e quanto sono credibili le quotazioni azionarie di alcune delle aziende che valgono di più al mondo”. Come fa notare ancora una volta il corriere è tutto in bilico finchè gli investitori non cominceranno a cambiare punto di vista (e questo se e quando avverrà non è dato saperlo).

Infine Tim Hwang, un ex «global public policy lead» di Google nel settore dell’intelligenza artificiale e del machine learning, intervistato dal corriere è drastico: “L’evidenza empirica sull’efficacia della pubblicità programmatica è abbastanza confusa – dice Hwang -. Potrebbe non essere superiore a quella della pubblicità tradizionale e si potrebbe arrivare a una crisi di fiducia, perché le imprese finiranno per chiedersi perché devono spendere tutti quei soldi”.

E allora, ritorniamo alla domanda di partenza: qual è il vero valore di un utente (di facebook e goole) e dei suoi Like? Immenso e lo sarà finchè non cambierà il modo di rapportarsi con il mondo virtuale ma, fino ad allora il mercato finanziario sarà dei due colossi: Facebook e Google, al costo di “un Like”.

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