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Il documentario che ha fatto conoscere lo Stretto di Messina nel mondo

È un documentario che è stato visto – e selezionato e premiato – in mezzo mondo. Ma in Sicilia – dove è stato girato, peraltro con il contributo della Sicilia Film Commission – lo hanno visto in pochissimi. ‘U ferru – The harpoon – il documentario che scorre come un film e che ha il rigore della ricerca scientifica – fa parlare la storia di Ganzirri e di Messina attraverso le vicende di un padre e di un figlio e della “caccia” al pescespada sulla specialissima, elegantissima barca che spesso è una immagine simbolo di queste zone.

Un sogno lungo un documentario

Per Marco Leopardi, 59 anni ma “con così tanti progetti che non basterebbe una vita di 150 anni”, ‘U ferru – The harpoon è un sogno a lungo accarezzato e poi finalmente realizzato, grazie alla società di produzione di Diego d’Innocenzo, “Terra” (Roma), che ci ha creduto da subito.  

“Quello che faccio – dice oggi – è il mestiere più bello del mondo, dà un senso alla mia vita. Ho il privilegio, qualche volta, di raccontare storie che vedono migliaia di persone e questa è una grande responsabilità e una occasione per tentare di contribuire a un mondo migliore e più consapevole. Questo lavoro ha solo un paio di difetti: ti impegna tantissimo e sicuramente non ti fa diventare ricco”.

Proprio in questi giorni, nel ripercorrere la sua vita professionale per una ricerca che ha in corso, in quel di Trevignano Romano, il bel paese sulle sponde del lago di Bracciano a 40 chilometri a nord di Roma dove vive, Leopardi s’è soffermato proprio su ‘U ferru. E ha considerato da dove avrebbe potuto cominciare a narrarne la storia. Scegliendo, come inizio, un ricordo di quasi mezzo secolo prima. Aveva appena 10 anni, infatti, quando rimase rapito di fronte ai documentari sul mondo sottomarino di Bruno Vailati. Così lontana, nel tempo e nello spazio, la memoria gli riconsegna il luccichio di quell’incanto.

In una sola vita decathlon, fotografia, documentario

“Come gran parte dei bambini, mi piacevano tantissimo gli animali”, racconta Leopardi oggi. “Sicuramente all’epoca – dice – la sensibilità animalista doveva ancora esprimersi e suppongo che le vicende raccontate dalla televisione in bianco e nero comprendessero anche avvincenti battute di caccia. Ma in ogni caso quel mondo alieno e a tratti spaventoso fu il mio imprinting al documentario. Lo devo a mia madre, come devo a lei anche la passione per lo sport”.

Anzi, per un bel po’ di tempo fu lo sport ad occupare sempre di più il suo tempo libero e anche le sue scelte di studio furono condizionate dal campo di atletica. Praticava il decathlon. Non aveva il fisico adatto, ma anni di durissimi allenamenti gli permisero di arrivare a partecipare ai campionati italiani di specialità. Divenne insegnante di educazione fisica e, ancor prima di finire la carriera di atleta, decise di impegnarsi in un laboratorio di ricerca nell’ambito della fisiologia dello sport. Solo che fare ricerca si rivelò non essere esattamente ciò che aveva immaginato. “A pensarci bene, impegnarsi in un laboratorio con l’unico scopo di far correre un atleta un decimo più veloce nei cento metri non mi sembrava poi così tanto importante”. Decise di cambiare vita.

E divenne fotografo. “Quando ero bambino ho sempre visto mio padre armeggiare con cineprese e macchine fotografiche. Gli piaceva moltissimo chiudersi al bagno per sviluppare le pellicole e far apparire le immagini dei suoi figli. Era un momento magico di grande suggestione e credo che questa cosa mi abbia colpito spingendomi verso questo mondo”.  Dopo pochi anni dal suo cambio di vita, Leopardi pubblicava servizi fotografici di viaggio, di natura e, quando gli riusciva, anche di argomenti antropologici. La svolta in una agenzia fotografica specializzata in natura. Davanti ai suoi lavori, gli venne proposto di parlare con il responsabile che capì essere anche un documentarista. Davanti a lui gli fu possibile mettere da parte le fotografie e confessare il suo sogno lontano, quello di fare documentari. Per due anni lavorò come assistente. “Fu una bellissima esperienza vivere nella natura e imparare il comportamento da tenere per avvicinarla; il fatto di non aver mai potuto utilizzare una cinepresa e di non aver mai ricevuto un minimo compenso mi entusiasmò un po’ meno. Questi due anni di singolare praticantato mi fecero capire che con un po’ d’incoscienza potevo tentare il grande passo, realizzare un documentario”.

L’idea di ‘U ferru nasce da molto lontano

“Più di vent’anni fa – dice Leopardi – un amico calabrese appassionato di mare mi raccontò della straordinaria pesca con l’arpione che si svolgeva nello Stretto di Messina. In seguito, mi ritrovai sullo Stretto per girare un documentario sulla migrazione del falco pecchiaiolo e per la prima volta vidi le incredibili imbarcazioni adoperate per questa caccia. Qualche anno dopo con il mio amico Federico Cauli andammo a girare il primo lavoro dedicato alla pesca con l’arpione. Passammo una settimana su una barca calabrese e una su una siciliana. Nino e Giuseppe Donato, i proprietari dell’imbarcazione siciliana, divennero miei amici”.

Questa amicizia a lungo coltivata convinse Leopardi a immaginare un film dando più spessore al valore antropologico della caccia con l’arpione “e soprattutto usando una forma narrativa e non più didattica”.

Nino e Giuseppe Donato non per caso sono i protagonisti di ‘U ferru – The harpoon. Nel film rappresentano due anime della stessa esistenza. Il padre pescatore e il figlio biologo, posti entrambi di fronte alla scelta del più giovane. E alla sua crisi di coscienza. È davvero necessario, è davvero giusto oggi – si chiede Giuseppe – uccidere degli animali per mangiarli?

“Indomiti, ingegnosi e sperimentatori”, come li definisce Leopardi, i Donato, dopo la rottamazione della loro passerella, hanno ormai varato una barca da pesca moderna, molto più piccola e versatile. Ma non hanno abbandonato ‘u ferru. Su questa veloce imbarcazione hanno infatti costruito una piccola antenna e una corta passerella da usare nel caso dell’avvistamento di un pesce spada.

Lo Stretto, uno dei luoghi più straordinari e meno raccontati al mondo

“Credo – dice Leopardi – che lo Stretto di Messina sia uno dei luoghi al mondo più straordinari e in qualche modo meno raccontati. Nell’imbuto dello Stretto si concentrano storie naturali e umane uniche. Uno dei miei più grandi desideri sarebbe proprio quello di raccontare intimamente questo luogo. Certo sono un forestiero, ma il mio status mi dà il privilegio di stupirmi per quelle cose che chi vive in loco forse non vede più. Il mio legame con Messina spero possa continuare”

‘U ferru – The harpoon ha proprio fatto questo, raccontare lo Stretto come mai prima. Sott’acqua scontrandosi letteralmente con pesci di grandi dimensioni, o dall’alto della ‘ntinna della feluca.

Un documentario pluripremiato (dall’Ungheria all’India, dall’Italia alla Slovenia)

Il documentario, completato nel 2015, è stato premiato al CinemAmbiente – Environmental Film Festival di Torino (“Environment and society award” e menzione speciale per la narrazione coinvolgente), al Kolkata International Wildlife & Environment Film Festival, India (migliore regia), all’Internatural Nature Film Festival Gödöllő, in Ungheria (migliore documentario sulla protezione e la conservazione della natura), al Bled Water Festival, in Slovenia (primo premio), al  Life After Oil International Film Festival di Stintino (miglior documentario italiano).

Ma è stato selezionato e visto e recensito (molto bene) anche in Estonia (Matsalun Nature Film Festival), in Qatar (Aljazeera International Documentary Film Festival), a Belgrado (th International Underwater Film Festival), a Mosca e San Pietroburgo (ECOCUP Green Documentary Film Festival), in Cina (Beijing International Documentary Center), in Spagna (Festival Internacional de Cine y Medio Ambiente de Zaragoza). E in Sicilia dove è stato selezionato da ARES Film & Media Festival di Siracusa, Fotogramma d’oro di Messina, Salina Doc Fest, Taormina Film Festival e Spacca Doc Fest di Ispica.

“M’intristisce pensare a questo film come un file sperduto in un computer”

Tuttavia oggi Leopardi confessa: “Fatico a vedere un futuro possibile per questo lavoro. La televisione italiana ha ancora pochi spazi per il documentario e in particolare per questo genere narrativo. E’ stato invece trasmesso da France 3. Trovo abbastanza sorprendente che sia stato più facile rendere visibile questo lavoro in molti festival nel mondo e non in Sicilia. Non nascondo che m’intristisce pensare a ‘U ferru come a uno sperduto file, in uno sperduto hard disk di uno sperduto ufficio regionale siciliano. Credo che sia un lavoro che ha la dignità di rappresentare un pezzo di umanità siciliana e che almeno gli stessi siciliani avrebbero piacere di vedere”.

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