Pubblicato il 11 Settembre 2024
Una storia tragica che ha riacceso i riflettori sulla cultura del superlavoro in Cina. Un operaio di 30 anni, dopo aver lavorato per 104 giorni di fila, compresi i fine settimana, si è ammalato e poi è morto. Si è dovuto fermare necessariamente solo quando il suo corpo non ha retto più, costringendolo a prendersi un giorno di malattia. Al lavoro però non ci sarebbe più tornato, poiché solo dopo una settimana l’uomo è morto.
La triste storia di A’bao
Si conosce solo il nome del protagonista di questa brutta storia, A’bao, operaio cinese assunto come imbianchino in una società di costruzioni di Zhejiang. Come riportato dal quotidiano cinese Guangzhou Daily, il 30enne fu assunto nel febbraio del 2023 e da quel momento ha lavoro per tre mesi e mezzo. L’unica sosta risale al 6 aprile, quando si prese un giorno di riposo, ma alla fine di maggio ha iniziato a stare male e il 25 maggio è stato costretto a prendersi un giorno di malattia, tra l’altro trascorso in un dormitorio vicino al cantiere dove lavorava,
Giorno dopo giorno le sue condizioni di salute sono precipitate rapidamente e i colleghi di lavoro il 28 maggio lo hanno immediatamente portato in ospedale, dove gli è stata diagnosticata un’infezione polmonare e un’insufficienza respiratoria che lo hanno portato alla morte.
La denuncia della famiglia
Dopo la morte dell’uomo è partita un’indagine, ma i funzionari della previdenza sociale hanno concluso che l’episodio non poteva essere classificato come infortunio sul lavoro, dal momento che erano passate più di 48 ore tra la malattia e il decesso. La famiglia però ha fatto ricorso chiedendo un risarcimento e accusando il datore di lavoro di negligenza. L’azienda ha replicato che il carico di lavoro era gestibile per A’bao, che ha comunque svolto volontariamente gli straordinari e tutte le ore in più. Insomma, secondo l’azienda la morte sarebbe da attribuire ai problemi preesistenti del giovane e all’intervento medico poco tempestivo.
Il caso è finito in tribunale, che ha dato ragione alla famiglia di A’bao. Secondo la sentenza l’azienda avrebbe comunque dovuto vigilare sulle ore di lavoro del giovane (poco importa che le svolgesse volontariamente), anche perché lavorare per 104 giorni consecutivi rappresenta una violazione della legge cinese che prevede un massimo di 8 ore lavorative al giorno e fino a 44 ore alla settimana. L’azienda, ritenuta responsabile al 20% della morte del giovane, è stata condannata a pagare 51.000 euro alla famiglia, sentenza confermata anche in appello alla fine dello scorso agosto.