Di quel 26 novembre di dieci anni fa sono rimasti solo fiori e tristezze. Fiori freschi, perché l’orrore di quei giorni è rimasto dentro a tutti gli italiani. Quel maledetto pomeriggio Yara Gambirasio, una ragazzina di 13 anni, uscì da casa sua, a Brembate sopra, per andare a consegnare uno stereo nella palestra di via Locatelli, centro che frequentava abitualmente. Erano le 17,30. Non tornò mai a casa.

La ritrovarono dopo ricerche di ogni tipo – alcune delle quali, sbagliate e approssimative – in un campo di Chignolo d’Isola, una località non distante dal luogo in cui Yara era stata vista per l’ultima volta. La povera ragazza, stabilì l’autopsia, era morta delle ferite che l’assassino gli aveva inferto, abbandonandola nel campo, e di freddo. Massimo Bossetti, un falegname del posto, è stato riconosciuto come l’unico colpevole e condannato all’ergastolo.

Tre gradi di giudizio non hanno scalfito le convinzioni dei giudici. Di Yara è rimasta l’unica immagine che è apparsa in tv fino allo sfinimento, quella in cui ha un cerchietto ai capelli e un apparecchio ai denti. Sorride. Il giorno in cui è scomparsa, aveva un pantacollant nero e nero era il giubbotto e con quei frammenti di tessuto è stata ritrovata.

Yara è oggi una onlus che sostiene con progetti in ambito sportivo, artistico e musicale ragazzi che hanno difficoltà economiche, l’hanno voluto i genitori. Bergamo le ha intitolato la Casa dello sport. “Saremo felici quando nelle ricerche di Google con il nome di Yara non compariranno articoli di cronaca nera ma quelli sulla nostra associazione” ha detto il padre, perché al lutto non c’è mai fine.

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Redazione Nazionale

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