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Pablo Neruda

“Mio zio Pablo Neruda è stato avvelenato, ora è certo”

Pubblicato il 14 Febbraio, 2023

Una nuova perizia sulle spoglie mortali Pablo Neruda ipotizza che il grande poeta cileno, morto il 23 agosto 1973 nella clinica Santa María di Santiago del Cile, fu avvelenato dodici giorni dopo il colpo di Stato militare del generale Augusto Pinochet che mise fine all’esperienza del presidente Salvador Allende.

Le analisi effettuate da gruppo di ricercatori internazionale hanno rilevato la presenza di una tossina altamente tossica, il “Clostridium botulinum”, che ne avrebbe causato rapidamente la morte.

“Adesso sappiamo che il Clostridium botulinum non avrebbe dovuto essere presente nelle ossa di Neruda e quindi è stato assassinato nel 1973 da agenti dello Stato cileno”, ha detto il nipote del Premio Nobel della Letteratura, l’avvocato Rodolfo Reyes, alla stampa cilena, anticipando i risultati ufficiali delle analisi che dovrebbero essere resi noti domani.

Pablo Neruda

Il batterio del botulino era stato individuato in un molare del poeta per la prima volta nel 2017 da un gruppo di esperti che avevano avanzato l’ipotesi di un avvelenamento e avevano messo in dubbio la versione ufficiale che parla del decesso di Neruda per un tumore metastatico alla prostata. Rodolfo Reyes ritiene pertanto plausibile l’ipotesi più volte ripetuta dal partito comunista cileno secondo cui Neruda fu ucciso “con un’iniezione che lo avrebbe avvelenato”.

“Posso dirlo perché conosco i rapporti. Lo dico io, come avvocato e nipote, con molta responsabilità, perché il giudice non può ancora dirlo, perché deve avere tutte le informazioni”, ha detto Reyes in una conversazione con il quotidiano spagnolo El País”. “Questo è ciò che stavamo aspettando, perché il panel di esperti del 2017 aveva già trovato il Clostridium botulinum. Ma non si sapeva se fosse endogeno o esogeno. In altre parole, se era interno o esterno. E ora è stato dimostrato che era endogeno e che è stato iniettato o collocato”.

La vicenda della morte per avvelenamento di Pablo Neruda (1904-1973) tiene banco da almeno dieci anni e da allora ripetute indagini medico-legali, con inchieste della magistratura aperte e poi archiviate, non sono riuscite a formulare un verdetto univoco sul decesso. Ora il nipote che non si è mai arreso alla versione ufficiale ha annunciato la svolta.

Nel 2013 un gruppo di medici legali, in accordo con le autorità giudiziarie cilene, sottoposero la salma del Premio Nobel a una serie di lunghi esami per verificare l’attendibilità della testimonianza del suo autista e guardia del corpo, Manuel Araya, secondo cui il poeta sarebbe stato assassinato per volontà del generale Pinochet nella clinica Santa Maria a Santiago mediante una misteriosa iniezione pochi giorni dopo il colpo di Stato. Il direttore del servizio medico legale cileno, Patricio Bustos, fece così analizzare la salma di Neruda concludendo che il poeta è morto a causa di un tumore alla prostata, il cui decorso sarebbe stato accelerato dallo stress emozionale dei giorni del golpe. Nessuna sostanza velenosa venne allora rintracciata nel corpo, se non tracce di medicinali e antidolorifici assunti per contrastare il cancro, mentre nelle ossa erano presenti molte metastasi.

Il nipote del poeta nel gennaio 2015 ottenne un supplemento di inchiesta e la riapertura dell’indagine, con nuovi esami scientifici sui reperti biologici prelevati dalla salma nella primavera 2013, onde ricercare specifiche sostanze chimiche o metalli pesanti, letali in breve tempo in un organismo debilitato. Nel maggio 2015 un team spagnolo rese noto il ritrovamento di proteine anomale nelle ossa di Neruda, non riferibili a farmaci, alcune legate al cancro e altre a un’infezione improvvisa e assai rapida.

Anche questa indagine fu l’archiviata ma il governo cileno, di fronte ai persistenti dubbi, istituì due commissioni scientifiche che nel novembre 2015 hanno redatto un documento in cui si legge che è probabile che Neruda non sia morto “a causa del cancro alla prostata di cui soffriva”, e che “risulta chiaramente possibile e altamente probabile l’intervento di terzi”, concludendo che al paziente “fu applicata un’iniezione o gli fu somministrato qualcosa per via orale che ha fatto precipitare la sua prognosi in appena sei ore”.

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