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Portanova

Portanova e lo stupro di gruppo, parla la vittima: “Vi spiego l’orrore”

Pubblicato il 31 Marzo, 2023

“Oltre a ciò che ho dovuto subire nella notte fra il 30 e il 31 maggio 2021, mi ritrovo oggi di fronte a qualcuno che tenta di affossare la mia persona e di mettermi in cattiva luce. Purtroppo oltre ad un tribunale giudiziario ne esiste anche uno mediatico e sociale, molto crudele, del quale con sincerità posso affermare che siamo vittime tutti. Non sono stata io a voler dare clamore a questa orribile vicenda. Però il fatto sta nel voler portare alla luce la verità”. 

Lo scrive, in una lettera inviata a La Nazione, la studentessa 22enne che ha denunciato di essere stata vittima di una violenza sessuale di gruppo a Siena, vicenda per la quale il calciatore Manolo Portanova è stato condannato in primo grado a 6 anni di reclusione insieme con suo zio Alessio Langella.

Per la stessa accusa si è aperto in questi giorni il processo a un loro amico, Alessandro Cappiello mentre per un quarto accusato procede la magistratura minorile. 

“Sono qua oggi, per rispondere a una conferenza stampa da poco tenuta, per rispondere a chi potrebbe credere più alle parole di qualcuno rispetto all’esito di un primo grado di giudizio”, spiega la 22enne, riferendosi alla conferenza stampa tenuta da Portanova il 10 marzo per raccontare la sua versione dei fatti, dopo la lettura delle motivazioni di condanna.

“Negli ultimi anni – scrive la ragazza nell’apertura della sua lettera – ho scoperto di avere tanti nomignoli: Chiara, Sara, Claudia, Marta, quella di Portanova, sicuramente una poco di buono, la stuprata e chi più ne ha più ne metta. Ho scelto di scrivere, una scelta un po’ tarda potreste pensare … ma sapete, non è mai facile esprimere se stessi e il proprio dolore quando si è in mezzo ad una burrasca giudiziaria”. 

Fra le carte messe sul tavolo dalla difesa di Portanova c’è anche il racconto della 22enne alla psicologa, che si è rivelato copiato da quello di una giovane violentata negli Usa nel 2015.

“Credete davvero – scrive ora la studentessa – che il tribunale avrebbe dovuto assolvervi perché, mesi dopo i fatti, ho fatto mie le parole della lettera scritta da una ragazza americana violentata da un atleta? Delle tante che ho scritto alla psicologa, si tratta dell’unica lettera non interamente mia, una lettera a me a cuore perché in quella ragazza ho rivisto me stessa, lo stesso dolore e ho voluto riportarlo all’interno di un mio scritto quando ancora non trovavo parole mie per esprimere l’orrore che vivevo. Non era certo un segreto, quella lettera famosa: ne hanno discusso in tribunale i miei avvocati e il giudice ne ha tenuto conto”.

“Denunciare una violenza sessuale significava dover affrontare anni di svalutazioni, di insulti, anni in cui avreste provato a dire che era un gioco e che ero d’accordo. Denunciare significava affrontare processi, udienze, dover leggere articoli su articoli di giornale, dover affrontare le calunnie più malvagie…”, conclude.

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