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Regeni e Zaki, uno striscione in Comune per chiedere verità e libertà

Pubblicato il 12 Giugno, 2020

Regeni e Zaki. Due storie complesse, tristi, irrisolte. Due storie che attendono ancora di conoscere la propria fine, ma soprattutto che pretendono giustizia, verità e libertà. Valori che troppo spesso vengono dati per scontati, ma che nel caso di questi due ragazzi (la libertà per Zaki e la verità per Regeni) sarebbe un traguardo storico ed un successo davvero importante. In tempi in cui ricordare non è sempre così facile, visto il susseguirsi di eventi drammatici e di stretta attualità, il Comune di Lecce ha voluto fare un gesto che va nella direzione di una continuità con un passato che scotta e che non può essere messo da parte. È esposto da ieri pomeriggio sotto la finestra del sindaco Salvemini presso la sede del Comune di Lecce a Palazzo Carafa, infatti, uno striscione a sostegno delle campagne di mobilitazione che uniscono cittadini, attivisti ed amministratori nella richiesta di verità sui casi Regeni e Zaki ed in particolare sulla verità per Regeni e la immediata scarcerazione dello studente egiziano dell’Università di Bologna Patrick Zaki.  

Regeni e Zaki, Lecce non dimentica

In un post sui social il sindaco di Lecce, Carlo Salvemini, ha motivato la scelta e ha parlato delle vicende Regeni e Zaki, sottolineando l’importanza del gesto simbolico: “Ho deciso di esporre questo striscione, per chiedere verità per Giulio Regeni e libertà per Patrick Zaky. Lo faccio come amministratore pubblico che crede fermamente nei valori di Libertà e Giustizia – anche per sollecitare maggiore determinazione da parte del Governo italiano su entrambe queste vicende. Nei giorni scorsi i Regeni hanno manifestato sfiducia e irritazione per il modo con il quale il nostro Paese continua a trattare il caso di Giulio, all’indomani di un accordo di forniture militari all’Egitto da parte di aziende di Stato. Condivido rispettosamente lo stesso senso di delusione. Sono solo un sindaco di una media città del Mezzogiorno” – continua Salvemini su Regeni e Zaki – “Non intervengo nella gestione delle relazioni internazionali. Ma sono consapevole che il rispetto dei diritti umani rappresenta un valore Costituzionale al quale lo Stato deve uniformare la propria organizzazione e le attività che ne discendono. La vicenda orribile di Giulio Regeni e quella di Patrick Zaky – per la quale è ancora possibile sperare in un esito meno drammatico – spingono chi avverte responsabilità pubbliche a prendere posizione. Sento di fare la mia parte affermando, con un gesto semplice, che per me la “ragion di Stato” significa pretendere rispetto per l’Italia e i diritti dei suoi cittadini. e di quanti, come Zaki, scelgono il nostro paese per realizzarvi i propri progetti di vita”. 

Regeni e Zaki, le loro storie

Patrick Zaki è uno studente egiziano dell’università di Bologna detenuto al Cairo da febbraio scorso con l’accusa di propaganda sovversiva. Appena atterrato nel suo paese, dove era di ritorno per fare visita alla famiglia, è stato catturato dalla polizia egiziana e incarcerato con l’accusa di propaganda sovversiva. L’udienza di convalida del suo arresto viene rinviata da sei mesi. Secondo le denunce di Eipr, l’Ong con la quale collabora “è stato picchiato, sottoposto a elettroshock, minacciato e interrogato in merito al suo lavoro e al suo attivismo”. Nel corso degli interrogatori, hanno riferito i suoi avvocati, a Patrick è stato chiesto più volte dei suoi rapporti con la famiglia Regeni (che in realtà non conosce). Oggi Patrick Zacky, studente dell’Università di Bologna è detenuto ingiustamente in Egitto per il suo attivismo a favore dei diritti umani. A questo link è possibile firmare l’appello per la sua liberazione: https://www.amnesty.it/appelli/liberta-per-patrick/

Giulio Regeni

Giulio Regeni era un giovane dottorando italiano dell’Università di Cambridge che si trovava al Cairo per svolgere un lavoro di ricerca. È stato ucciso in Egitto nel 2016. Il suo corpo, con evidenti i segni delle brutali torture subite, è stato ritrovato il 3 febbraio di quell’anno in un fosso nei pressi di una prigione dei servizi segreti egiziani. La sua famiglia e un diffuso movimento internazionale guidato da Amnesty International chiedono da allora verità e giustizia sul suo caso. Che ad oggi non ha trovato ancora soluzione anche a causa della scarsa collaborazione del regime egiziano di Al Sisi sul fronte delle indagini per l’individuazione dei responsabili e dei mandanti di questo crimine contro un cittadino italiano.

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