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Roberto Saviano: “Sento di aver sbagliato tutto”. Gli attacchi di panico e l’amore che non può esistere

Pubblicato il 4 Maggio 2025

Il dolore privato dietro l’impegno pubblico

Roberto Saviano, a 27 anni autore del celebre Gomorra, pensava che non sarebbe arrivato ai 30: convinto che l’avrebbero ucciso per quello che aveva scritto. Oggi, a quasi vent’anni da quel momento, vive sotto scorta, recluso, e confessa in un’intervista ad Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera che sente di “aver sbagliato tutto“.

Il prezzo più alto: la famiglia

“La mia famiglia ha solo pagato”, dice Saviano. Dopo l’uscita di Gomorra, i suoi genitori furono costretti a lasciare Caserta e a trasferirsi al Nord. Una separazione dolorosa, una vita stravolta per proteggerli. Lo scrittore racconta con amarezza il giorno del funerale di sua zia Silvana, una figura materna per lui: una cerimonia quasi deserta, segno tangibile dell’isolamento in cui è caduta la sua famiglia per colpa della sua notorietà.

Vivere sotto scorta: una prigione senza fine

Saviano paragona la sua vita a un ergastolo: “Vivo recluso, senza vedere la fine”. Non può uscire liberamente, incontrare amici, vivere l’amore. Tutto è controllato, tutto è filtrato. Chi lo accusa di aver “rovinato l’immagine di Napoli” dovrebbe guardare a una città oggi rinata anche grazie all’attenzione internazionale che il suo libro ha contribuito a generare: “Napoli è esplosa di vita, ma io pago un prezzo altissimo”.

L’amore che non può esistere

Ogni relazione affettiva è sabotata“, afferma. Ogni incontro deve avvenire in casa, sotto sorveglianza. “Nessun sentimento sopravvive alla gabbia”, aggiunge. Saviano si ribella all’idea di essere visto come un uomo di potere: “Mi attribuiscono un potere che non ho”.

Processi, insulti e condanne

Saviano racconta dei procedimenti giudiziari che ha affrontato: Giorgia Meloni lo ha querelato per averla insultata in seguito alla definizione delle ONG come “taxi del mare”. È stato condannato, ma ricorda con orgoglio le parole del giudice che ha riconosciuto nelle sue critiche “un alto valore morale”. Contro il ministro Sangiuliano ha vinto, con Salvini i processi sono ancora in corso.

L’ombra del dubbio e gli attacchi di panico

Dopo l’attentato a Salman Rushdie, Saviano riflette su quanto il fatto stesso di essere ancora vivo venga usato contro di lui. C’è chi mette in dubbio la sua esposizione al pericolo: “Se davvero volevano ucciderlo, l’avrebbero già fatto”. Una frase che lo ferisce profondamente. Ogni giorno combatte con gli attacchi di panico, in particolare alle 5 del mattino: “Non respiro. Mi chiedo: dove vado? Mi sento schiacciato”.

L’idea di sparire: un’altra identità

Confessa di aver pensato spesso di scomparire nel nulla, per ritrovare la pace. «Mi piacerebbe avere un’altra identità, tanti capelli in testa, un altro nome». Ironizza, ma il desiderio è reale. Di recente ha preso la patente da camionista e sogna una vita come quella di Erri De Luca, che partì per l’ex Jugoslavia alla guida di un camion pieno di aiuti umanitari.

L’incontro con Schiavone e il peso del simbolo

Inquietante e rivelatore l’incontro con Carmine Schiavone, boss pentito e deceduto, che gli disse: “Tu e io siamo uguali. Non ci perdoneranno mai”. Una frase che lo ha profondamente turbato. “Essere trasformato in simbolo è una condanna“, conclude Saviano. Chi è simbolo non può più permettersi errori, vive perennemente esposto, perennemente deludente. E quando un simbolo non corrisponde più alle aspettative, diventa solo un bersaglio.

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