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Operaio al lavoro - foto di repertorio

Operaio al lavoro - foto di repertorio

Sentenza storica a Napoli: risarcimento di un milione di euro a operaio morto per amianto

Il giudice del lavoro del Tribunale di Torre Annunziata ha condannato, in solido tra di loro, Fincantieri spa e Sait spa, al risarcimento del danno pari a un milione di euro, per il decesso dell’operaio Angelo T. avvenuto, per mesotelioma da esposizione alle fibre di amianto, il 5 marzo 2016 dopo grandi sofferenze. “Si tratta di una sentenza storica per i lavoratori che sono stati negli anni a contatto con la fibra killer nella cantieristica navale” ha dichiarato, soddisfatto, l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, che ha vinto la battaglia a favore della famiglia.

Pubblicato il 13 Gennaio, 2022

Il giudice del lavoro del Tribunale di Torre Annunziata ha condannato, in solido tra di loro, Fincantieri spa e Sait spa, al risarcimento del danno pari a un milione di euro, per il decesso dell’operaio Angelo T. avvenuto, per mesotelioma da esposizione alle fibre di amianto, il 5 marzo 2016 dopo grandi sofferenze. “Si tratta di una sentenza storica per i lavoratori che sono stati negli anni a contatto con la fibra killer nella cantieristica navale” ha dichiarato, soddisfatto, l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, che ha vinto la battaglia a favore della famiglia.

Il risarcimento da 1 milione euro

L’Inps in un primo momento aveva riconosciuto soltanto 30 mila euro a titolo di rendita indennitaria. Il giudice Dionigio Verasani, invece, ha condannato al risarcimento entrambe le aziende per le quali ha lavorato l’ex dipendente, che ha ritenuto responsabili in solido per il decesso dell’uomo. Una storia simile a tante altre, purtroppo, quella di Angelo di Castellamare di Stabia, che ha lavorato tra il 1963 al 1995 per un’azienda, la Sait, alla quale la Fincantieri si rivolgeva spesso per impegnarne gli operai. L’uomo ha svolto mansioni di manovale fino al 1966, pittore per due anni e poi coibentatore, sempre a contatto diretto con le polveri di amianto.

“L’ambiente di lavoro – si legge nella sentenza – era al chiuso, all’interno dell’unità navale, e privo di aspiratori localizzati delle polveri e senza ricambio di aria. Locali chiusi, come la sala macchine, presso i quali trascorreva l’intera giornata lavorativa, gomito a gomito anche con altri colleghi”. Le attività che svolgeva “determinavano aerodispersione di polveri e fibre di amianto, che rimanevano liberate nell’aria”. Inoltre e’ stato dimostrato, anche grazie a numerose testimonianze di altri operai che lo hanno affiancato negli anni, che il lavoro veniva svolto sempre senza strumenti di prevenzione tecnica e protezione individuale. “In particolare – sottolinea il giudice – fu privato di maschere protettive che potessero in qualche modo evitare, ovvero diminuire, l’inalazione di polveri e fibre di amianto”. Esposizione confermata anche da Roberto Ficuciello, specialista in medicina legale e delle assicurazioni, che ha riconosciuto il nesso di causalità tra la patologia riscontrata e il lavoro svolto dall’ex dipendente. (Fonte Agi)

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