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Torino

Torino: “Il giovane che uccise il padre per difendere la madre deve essere condannato”

Pubblicato il 22 Marzo, 2023

“È chiaramente un caso che scuote le coscienze. Ma questo è un omicidio e ci vuole coraggio. Il coraggio di condannare”.

Così Alessandro Aghemo.

Il pubblico ministero ha chiesto la condanna a 14 anni per Alex Cotoia, il 21enne che nel 2020, a Torino, uccise il padre Giuseppe Pompa colpendolo 34 volte con sei coltelli differenti.

In primo grado il giovane, difeso dagli avvocati Claudio Strata e Giancarla Bissattini, era stato assolto per legittima difesa: la Corte d’Assise aveva stabilito che Alex si stava difendendo da un padre violento e aggressivo che quella sera avrebbe potuto sterminare la famiglia.

Una ricostruzione fortemente stigmatizzata dall’accusa, che nel processo di fronte alla Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Maria Cristina Domaneschi, ha messo in evidenza le tante contraddizioni che emergono dalle dichiarazioni dell’imputato e dei due unici testimoni presenti la sera del 30 aprile 2020 nell’alloggio di Collegno: la mamma e il fratello di Alex.

Per il magistrato il “pericolo non era attuale”. 

Se è pur vero che Giuseppe Pompa era un uomo violento e aggressivo, così come raccontano centinaia di audio su cui sono incise le sue sfuriate di gelosia nei confronti della moglie, è anche vero che è stato aggredito dal figlio in un momento in cui era disarmato. 

Alex ha sempre ammesso le proprie responsabilità: fu lui dopo il delitto a chiamare i carabinieri e a dire di aver ucciso il padre, ma ha anche spiegato che quella sera il padre era furioso come non lo aveva mai visto e che ha dovuto reagire per difendere la madre dell’ennesima aggressione.

Dichiarazioni che, secondo l’accusa, non trovano corrispondenza negli elementi di fatto che aiutano a ricostruire la dinamica dell’omicidio.

“Alex ha giocato d’anticipo. È lui che per primo afferra il coltello e si scaglia contro il padre, che in quel momento era disarmato”.

Da qui la richiesta di condanna a 14 anni.

Un calcolo della pena obbligato che tiene conto dell’attenuante della seminfermità mentale. 

Ma il pm ha proposto alla Corte, così come aveva fatto in primo grado, di valutare la possibilità di sollevare la questione di legittimità costituzionale sulle norme che impediscono il bilanciamento tra attenuanti e aggravanti: nel caso di Alex, l’aggravante è di aver ucciso un congiunto e questo impedirebbe di applicare le attenuanti generiche legate al fatto che ha confessato e al clima di violenza che si respirava in casa.

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