Pubblicato il 17 Aprile 2025
Tensione su Teheran, ma niente raid: Trump dice no all’attacco
Donald Trump avrebbe impedito un’operazione militare israeliana contro siti nucleari iraniani, prevista per il mese prossimo. Secondo quanto riportato dal New York Times, il piano israeliano mirava a colpire centri chiave del programma nucleare di Teheran, ma l’ex presidente americano ha deciso di puntare su una soluzione diplomatica, preferendo negoziare un nuovo accordo sul nucleare piuttosto che alimentare un’altra crisi internazionale.
Le spaccature interne all’amministrazione USA
Dietro il blocco all’azione militare ci sarebbe anche un forte dissenso interno all’amministrazione Trump. Come rivelano fonti vicine alla Casa Bianca, il presidente era inizialmente favorevole a un’azione militare, nel caso in cui le trattative con l’Iran non fossero andate a buon fine. Tuttavia, mesi di confronto interno hanno fatto emergere una profonda spaccatura tra i consiglieri più interventisti e quelli favorevoli alla trattativa.
Dubbi sull’efficacia dell’intervento militare
I vertici dell’amministrazione si sono divisi su un punto cruciale: colpire militarmente l’Iran rallenterebbe davvero il programma atomico o scatenerebbe solo un nuovo conflitto in Medio Oriente? La preoccupazione di alcuni consiglieri era che un attacco avrebbe aggravato la crisi regionale, già esplosiva dopo la guerra nella Striscia di Gaza seguita agli eventi del 7 ottobre 2023. Alla fine, ha prevalso una linea prudente, con la speranza che Teheran apra a una reale trattativa.
Israele pronta a colpire: l’appoggio USA era ritenuto scontato
Israele, secondo il Nyt, aveva già messo a punto i dettagli di un’operazione militare, prevista per maggio. L’obiettivo era ritardare di almeno un anno lo sviluppo di un’arma nucleare da parte dell’Iran. Per farlo, però, serviva il supporto logistico e strategico degli Stati Uniti, sia per proteggere Israele da eventuali ritorsioni, sia per garantire il successo del blitz. Ma Trump ha preferito congelare tutto in favore della diplomazia. Proprio in questa direzione va il nuovo incontro tra USA e Iran sul nucleare, previsto a Roma nel fine settimana.
La minaccia del nucleare iraniano
Le preoccupazioni sull’arsenale atomico iraniano sono tornate in primo piano, dopo che l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) ha rilevato un incremento significativo delle scorte di uranio arricchito al 60%. Si tratta di un livello molto vicino alla soglia necessaria per costruire armi nucleari. Secondo gli esperti, l’Iran potrebbe già avere abbastanza materiale per fabbricare fino a sei testate, anche se ufficialmente continua a dichiarare che il programma ha finalità civili.
Le origini della crisi e lo spettro dello “snapback”
Le tensioni attuali affondano le radici nel 2018, quando Trump, durante il suo primo mandato, ritirò gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare (Jcpoa) e reintrodusse le sanzioni economiche contro Teheran. Da allora, l’Iran ha progressivamente violato gli impegni presi, installando centrifughe avanzate e aumentando le riserve di uranio arricchito.
Nel novembre scorso, Teheran ha annunciato l’attivazione delle nuove centrifughe, accelerando di fatto il proprio programma nucleare. A peggiorare il quadro c’è anche la scadenza dello “snapback” prevista per ottobre, che potrebbe portare al ripristino automatico delle sanzioni ONU abolite nel 2015.
In questo contesto incerto, il futuro di un nuovo accordo internazionale appare tutt’altro che definito.