Ucraina: Ilya, la bambina di 6 anni morta per la paura

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Il peluche maculato con gli occhioni luccicanti da manga è ancora lì, nella cantina dove ha cercato di tenere compagnia alla sua padroncina per 11 mesi. Sporco, spelacchiato, anche lui provato dalla vita che gli ha imposto la follia dei grandi, quelli che un peluche maculato rosa e fucsia non potrà mai capire.

Sono uomini (e donne) importanti, potenti che decidono che la guerra è necessaria e va fatta fino a trasformare un campo di grano in una landa bucherellata dalle bombe e una città in un accumulo di macerie. Sono anche quegli adulti (mamme e papà) che cercano uno spazio per sopravvivere all’inferno che si è aperto sulla terra. Scappare non sempre è una possibilità, dicono.

Ragioni che un peluche non può certo capire, cose come il lavoro, i soldi per un affitto, la casa da difendere, magari i nonni da curare, racconta l’inviato in Ucraina del Corriere.

Si sono guardati spesso Ilya e il suo peluche in questi ultimi mesi passati al buio. Sei anni lei, ucraina del Donbass, capelli biondi e occhi azzurri.

Cinese d’origine lui, un incrocio tra un giaguaro e un unicorno, figlio della fantasia. Tutt’e due avrebbero potuto avere una vita diversa. Non fosse nata lei proprio ad Avdiivka e lui non fosse finito in quel container destinato all’Ucraina. Lei sarebbe diventata grande.

Lui sarebbe forse invecchiato nella scatola dei ricordi per spuntar fuori alla nascita della figlia di Ilya. Un futuro che non esiste più.

La padroncina pallida, scricciola come tanti piccini a quell’età, affettuosa, timida, curiosa di una scuola che non ha mai frequentato, non c’è più. 

Il suo cuoricino si è rotto. I grandi dicono per la paura. Scoprono adesso che passare 11 mesi in cantina non fa bene a una bimba di sei anni, che non dormire per il rumore delle bombe non è sano, che tremare assieme ai muri che si scrollano la polvere di dosso quando vengono scossi dalle esplosioni è poco indicato.

La morte di Ilya, per paura, è stata comunicata ieri dall’ambasciata ucraina presso la Santa Sede, uno dei pochi posti al mondo dove ci sono adulti che pensano cose diverse a proposito della necessità di combattersi. Ilya piangeva, rabbrividiva, chiedeva aiuto con lo sguardo e il suo peluche dagli occhioni la consolava. Ma non è bastato.

Nella battaglia del Donbass, per fortuna o perché qualcosa anche i grandi imparano, sono adesso coinvolti meno civili che in altre battaglie di questa invasione. Sono stati convinti ad evacuare (parola che Ilya non ha imparato) o hanno avuto il tempo di scappare. La famiglia della piccola, invece, era restata. Non sappiamo perché, ma possiamo sentire nella pancia il dolore che provano adesso mentre compongono il corpicino della figlia, le chiudono gli occhi, cercano un momento tra una bomba e l’altra per seppellirla. 

Ilya non lo sapeva, ma in fondo è la sorella maggiore di Aylan, 3 anni, il piccolo curdo annegato davanti alle spiagge turche di Bodrum nel 2015.

Lui scappava dalle bombe in Siria per trovare pace in un’Europa che non lo voleva. Lei è rimasta sul fronte della guerra tra Russia e Ucraina per 11 mesi. Lui, lei, i loro giochi, il loro futuro cancellato sono uno schiaffo alla capacità della politica di essere umana. La loro scomparsa è la vergogna di noi grandi incapaci di difenderli.

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Redazione Nazionale

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