Willy, uno dei fratelli Bianchi afferma: “Non l’ho toccato nemmeno con un dito”

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“Willy non l’ho toccato nemmeno con un dito. Io non sarei stato in grado, nemmeno se lo avessi voluto, di fare quello di cui mi si accusa”.

Così Gabriele Bianchi.

E’ quanto affermato nel corso di dichiarazioni spontanee davanti alla Corte d’Assise di Frosinone.

Lui è uno dei quattro accusati dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte, il giovane massacrato di botte a Colleferro nel settembre del 2020.

Bianchi ha poi aggiunto che “Willy merita giustizia come la merita la sua famiglia. Vorrei poter tornare a quella maledetta notte e cambiare tutto. Io sogno ancora di tornare dalla mia famiglia e crescere mio figlio”.

Per Bianchi e suo fratello Marco la Procura di Velletri ha sollecitato l’ergastolo.

Per gli altri imputati Francesco Belleggia e Mario Pincarelli ha chiesto una condanna a 24 anni.

“UTILIZZATO COME UN SACCO DA PUGILATO”

Lo scorso 13 maggio, in sette ore di requisitoria davanti ai giudici della Corte d’Assise di Frosinone, i sostituti procuratori Francesco Brando e Giovanni Taglialatela, hanno ricostruito le fasi di quella drammatica notte in cui il corpo di un ragazzino venne “utilizzato come un sacco di pugilato” nel corso di “una aggressione becera e selvaggia messa in atto da quattro individui”.

Una azione volontaria, una furia omicida ai danni di un giovane che si è trovato “nel posto sbagliato al momento sbagliato”: una lite scoppiata fuori a un pub, il “Due di picche” poi l’arrivo dei quattro che, come raccontato da un testimone, scesero da un’auto e si lanciarono contro chiunque capitasse a tiro.

Secondo i rappresentati dell’accusa chiunque quella notte, in quella piazza, avrebbe potuto fare la fine di Willy. “L’azione è partita da Marco e Gabriele Bianchi ma poi si salda con l’azione di Belleggia e Pincarelli e diventa una azione unitaria – hanno spiegato i pm -. Quello che è successo a Duarte poteva capitare a chiunque altro si fosse trovato di fronte” al branco. Un ruolo centrale nella requisitoria ha avuto il modus operandi dei quattro e in particolare la loro conoscenza della Mma, l’arte marziale di cui i Bianchi sono esperti, che è stata utilizzata come arma per “annientare il contendente” e di “farlo senza considerare le conseguenze dei colpi”.

“Colpi tecnici dati per fare male, violentissimi per causare conseguenze gravissime. Dagli esami della scientifica è emerso che sulla scarpa di Belleggia ci sono tracce biologiche di Samuele Cenciarelli che aveva provato a difendere Willy. Anche Cenciarelli poteva morire quella sera”.

I pm in aula hanno smontato anche le ricostruzioni fornite nel corso del processo da due testi, Roussi Faiza e Aldo Proietti, chiedendo la trasmissione degli atti in procura per falsa testimonianza. Il pestaggio è durato circa 50, interminabili, secondi in cui la vittima è stata raggiunta da colpi a ripetizione: “50 secondi di sofferenza incredibile”.

Gli imputati infierirono sul corpo del giovane quando era a terra e inerme: una azione che rientra totalmente nell’omicidio volontario.

Per l’accusa i quattro quella notte “volevano uccidere” e “Willy di fatto non si è difeso, è stato colto di sorpresa in una vicenda in cui non c’entrava nulla”. “Noi pensiamo che questo sia un omicidio doloso, volontario e non preterintenzionale”, hanno detto i pubblici ministeri sostenendo che tutti e quattro hanno preso parte al pestaggio. Dalle intercettazioni presenti agli atti dell’indagine sono arrivate conferme su quella tragica notte. Pincarelli, in un colloquio carpito, afferma in dialetto: “gli so tirato quando steva per terra” (l’ho picchiato quando era a terra,ndr)”. Parole talmente pesanti che il padre alzando la voce lo invita a tacere: “zitto n’atra vota (zitto ancora)”.

In aula era presente anche la madre di Willy che non ha trattenuto le lacrime. “Mi auguro che la lunga detenzione porti agli imputati l’occasione di una rieducazione, di un ravvedimento reale. Oggi con la richiesta di pene così alte della Procura non possiamo parlare di risultato ottenuto. Non solo perché bisogna attendere la sentenza, ma anche perché come rappresentanti della società civile non possiamo che soffrire per quanto accaduto”, ha detto l’avvocato Domenico Marzi, legale della famiglia Monteiro.

Nel processo compaiono come parti lese anche il comune di Colleferro, rappresentato in giudizio dall’avvocato Maurizio Frasacco. “Attendiamo la sentenza ma nulla potrà attenuare il dolore della comunità che rappresento: è stata una città contrassegnata da un episodio di cronaca violenta”, ha detto il legale.

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Redazione Nazionale

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