Le sue opere, un mondo di animali fantastici e inermi, sono esposte in tutto il mondo. Ma è ad Ancona, in piazza Pertini, che l’artista Valeriano Trubbiani, scultore maceratese di grande intelligenza, che ha eretto il suo e nostro simbolo, i celeberrimi rinoceronti.
Li avrebbe voluti al sicuro, magari al Lazzaretto, per salvarli dal degrado e dai graffitari. Trubbiani se n’è andato ieri, a 82 anni, lasciando alla sua città d’adozione tanti segni: il sipario del Teatro delle Muse, la croce astile della Cattedrale di San Ciriaco, il tabernacolo della chiesa dei santi Cosma e Damiano e tanto altro.
Il suo è stato un mondo immaginifico – per questo è stato amico di Fellini e suo collaboratore in “E la nave va” – e la sua una denuncia netta dei tempi feroci e delle incongruità della Storia. Le sculture, figlie del lungo apprendistato nella bottega del padre fabbro, parlano di creature inermi: per il 150esimo della morte di Giacomo Leopardi si ispirò alla sua “Batracomachia” e appese spaventati uccelli di bronzo ai merli della torre civica di Recanati.
Si sarebbero capiti, Giacomo e Valeriano, specie sull’assurdità della Storia e sulle bugie della Vita. Allievo di Edgardo Mannucci e Gino Marotta, Valeriano ha avuto anche uno speciale amico che ha parlato a lungo di lui in “Manuale di pittura e calligrafia”: lo scrittore portoghese Josè Saramago.
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