La battaglia legale del secolo è cominciata. Da una parte il Dipartimento di Giustizia americano con il sostegno di 11 Stati Usa, dall’altra Google. Il gigante di Silicon Valley, uno dei padroni di internet, è sul banco degli imputati, accusato di aver abusato della sua posizione di forza online per mettere fuori mercato la concorrenza e dunque aver danneggiato i consumatori.
L’accusa di abuso di posizione dominante è condivisa da repubblicani e democratici: non c’è colore politico in questa storia. Si ripete quello che successe trenta anni fa contro Microsoft. Lo Stato americano, informato dal rapporto del Congresso, metterà sul tavolo delle accuse la posizione dominante, per esempio, che Google ha come motore di ricerca, frutto, a suo giudizio, di forti investimenti sui produttori di smartphone per far apparire un solo nome a chi vuole informarsi via web, Google appunto.
Troppo grandi, insomma, nessuno in queste condizioni di mercato potrebbe star loro dietro. Ne consegue che i consumatori non possono scegliere e debbono pagare quello che decidono a Silicon Valley. Un sistema indubbiamente poco democratico.
Google ha risposto debolmente alle accuse: “La gente usa Google perché può scegliere di farlo, non perché è costretta o perché non trova alternative”. Sa che il mercato non è libero. Vediamo come andrà a finire la causa che interessa a tutto il mondo.
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