Così Alessia Pifferi.
“Ho vissuto a Milano fino al matrimonio, fino a quasi vent’anni. Poi sono andata in Sicilia a Palermo, perché mi sono sposata e poi sono tornata a Milano a casa mia. Quindi ho vissuto solo con il mio ex marito. Per il resto ero sempre in casa con i miei genitori o da sola”, dice la 37enne che durante l’agonia della piccolina era col suo fidanzato, ignaro di tutto, in provincia di Bergamo.
“Ricordo che il matrimonio è stato molto bello” si legge nella lettera.
“Mi sono spostata in municipio a Palermo, in chiesa a Milano, a Ponte Lambro”, dove ha vissuto fino all’arresto e dove è morta la piccola Diana.
“In Sicilia – scrive – ero vestita con l’abito da sposa prestato da mia sorella, invece quello di Milano l’ho comprato io risparmiando. Siamo stati una famiglia normale. Abbiamo cercato di avere un figlio, che non è mai arrivato”.
La 37enne ha anche smentito alcune voci sul suo rapporto con la piccola Diana.
“Sul papà di Diana non mi sento di esprimere nulla” scrive ancora la 37enne in un italiano incerto, “perché sono fatti così delicati che potrei parlarne solo privatamente a lui”.
La donna spiega che sia prima del carcere che in cella ha fatto sempre dei “sogni normali” che “riguardano la vita di tutti i giorni, come le cose di casa o Diana”, ma nella lettera c’è spazio anche per il racconto di un incubo.
“Vi ringrazio ancora – conclude – di aver voluto raccontare i miei pensieri”.
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