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Dalla pagina Fb "Con Peppino Impastato"

Badalamenti e il film “I cento passi”

Pubblicato il 7 Agosto, 2020

Un mandato internazionale dal Brasile. Un arresto inaspettato, per associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti e falso ideologico, e il cognome Badalamenti torna al centro della cronaca. L’arresto di Leonardo Badalamenti, figlio del boss Tano, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Peppino Impastato, fa ripensare a quanto il film “I cento passi”, vent’anni fa, abbia cambiato l’immagine dell’impegno antimafia. A quanto abbia reso popolare tra i giovani una personalità appassionante come quella del militante e intellettuale Giuseppe Impastato (immagine in evidenza dalla pagina Fb “Con Peppino Impastato”, con tanto di casa confiscata a Badalamenti). Una personalità che si sottrae alla tradizione mafiosa del padre e diventa il peggior nemico della mafia, nel quadro di un movimento politico e sociale rappresentato da una Sinistra giovane, extraparlamentare e lontana dalle prudenze del Pci. Da non confondere con l’impegno antimafia di facciata denunciato da Claudio Fava in questo periodo.

Peppino Impastato è reso sullo schermo da Luigi Lo Cascio, mentre il mafioso don Tano è affidato a Tony Sperandeo. Diretto da Marco Tullio Giordana, il film è stato scritto da Claudio Fava, Monica Zapelli e lo stesso regista e ha ottenuto il premio per la sceneggiatura alla Mostra del Cinema di Venezia del 2000, cinque David di Donatello, due Ciak d’oro e il Gran Premio della stampa estera (per il Globo d’oro) al regista e al miglior attore rivelazione Lo Cascio. Memorabili anche le interpretazioni di Luigi Maria Burruano, Lucia Sardo, Claudio Gioè, Paolo Briguglia e Andrea Tidona.

L’origine del film

(Dal libro di Marco Olivieri e Anna Paparcone, Marco Tullio Giordana. Una poetica civile in forma di cinema, Rubbettino)

Una monografia sul regista: https://www.store.rubbettinoeditore.it/marco-tullio-giordana.html

La genesi della sceneggiatura si trova in questa descrizione di Claudio Fava, dal libro “Cinque delitti imperfetti” (Arnoldo Mondadori Editore): «Tra la casa di Peppino Impastato e quella di Gaetano Badalamenti ci sono cento passi. Li ho consumati per la prima volta in un pomeriggio di gennaio, con uno scirocco gelido che lavava i marciapiedi e gonfiava i vestiti. […] Cento passi, cento secondi: provai a contarli e pensai a Peppino. A quante volte era passato davanti alle persiane di don Tano quando ancora non sapeva come sarebbe finita. Pensai a Peppino con i pugni in tasca, fra quelle case, perduto con i suoi fantasmi. Infine pensai che è facile morire, in fondo alla Sicilia. In fondo alla Sicilia c’è Cinisi, duemila famiglie, ottomila anime, centocinquanta morti ammazzati in quindici anni di guerre mafiose. Di uno di loro si fa ancora fatica a parlare: Peppino Impastato».

Molto è cambiato da allora, e molto ancora deve cambiare. In quella fine degli anni Novanta, piena di speranze, il film si nutrì dello scambio con figure come Umberto Santino, presidente del Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato” (realtà decisiva per l’accertamento della verità sul delitto) e autorevole studioso in molti saggi della borghesia mafiosa, Anna Puglisi, Salvo Vitale (autore di Cento passi ancora per Rubbettino e Intorno a Peppino per Di Girolamo editore), Felicia (indimenticabile madre di Peppino) e Giovanni Impastato (fratello di Peppino e autore di Oltre i Cento passi per Piemme). Figure fondamentali per rendere accurata la ricostruzione.

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Il confronto Impastato – Badalamenti

In una sequenza notturna e onirica, con il temporale e i tuoni sullo sfondo, Giordana racconta in chiave romanzesca la figura di Badalamenti e il suo conflitto psicologico con il protagonista.

Tano Badalamenti entra nella pizzeria degli Impastato, da solo si prepara un caffè e dice tutto quello che un mafioso non esprime mai, affidandolo solitamente ai gesti e alle espressioni facciali, con la rivendicazione di un’umanità ferita e ambigua nell’alternare protesta e minaccia.

I due fratelli Impastato sono seduti, di spalle, mentre la macchina da presa scruta le loro reazioni, con i volti in apparenza impassibili ma che a tratti tradiscono un turbamento. A sua volta, Badalamenti riempie la tazzina, scende dal bancone e si avvicina provocatoriamente ai ragazzi. Mette in discussione la sua immagine di «Tano seduto… viso pallido esperto in lupara e traffico di eroina», secondo le definizioni del protagonista, e ricorda quanto la famiglia Impastato debba a lui, riaffermando la sua potenza e superiorità. «Soltanto Tano ti dà il permesso di continuare a ragliare come i cavalli», sussurra a Peppino, il quale si sveglia di soprassalto.

Si tratta di un sogno che contribuisce ad arricchire il personaggio di Badalamenti, visto sempre dal punto di vista intimo del personaggio principale, e ad alimentare il lato segreto di Peppino, ciò che rimane indicibile. Sfumature shakespeariane investono una figura quasi regale, nel suo essere un temutissimo boss, e in una sequenza beckettiana anche Tano può gridare la sua verità, mediata dalla psicologia del protagonista.

La dimensione onirica della sequenza conferma l’intenzione di indagare sull’inconscio dei personaggi, su ciò che non rivelano e ciò che li anima, inseguendo ipotesi e interpretazioni, storia e romanzesco. Dopo il monologo di Tano Badalamenti, il risveglio inquieto di Peppino precede l’incupimento generale, con le immagini di repertorio del sequestro Moro e dell’appello di Paolo VI agli «uomini delle Brigate Rosse», la colpevolizzazione di ogni ribellione e l’uso strumentale di essa per immobilizzare il Paese.

La testimonianza di Giordana

Racconta Marco Tullio Giordana: «Sperandeo aveva una specie di telecomando interiore, andava sempre a mettersi nel punto giusto anche se stava recitando un monologo di quasi dieci minuti imparato la notte prima. Perché la scena era stata scritta solo il giorno prima di girare, scritta perché lì a Cinisi avevo incontrato una persona che era stata vicina al boss Badalamenti e mi aveva involontariamente suggerito molti spunti. Sperandeo ed io passammo una nottata intera a farci raccontare com’era Tano Badalamenti, come parlava, come si muoveva, come si comportava in pubblico e in privato. Sperandeo è stato straordinario, l’unica istruzione che gli diedi fu quella di pensare a sé come un uomo giusto, regale, offeso dalla mancanza di riconoscenza altrui. Non doveva fare il “cattivo”, non doveva mostrare il nostro giudizio negativo. Ha meritato ampiamente il David di Donatello che gli è stato attribuito» (da M. Cruciani, P. Spila, Prima di tutto il cinema in «Cinecritica», n. 32, Ottobre-Dicembre 2003).

Testi tratti dal libro di Marco Olivieri e Anna Paparcone, Marco Tullio Giordana. Una poetica civile in forma di cinema, Rubbettino.

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