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Djokovic

Novak Djokovic e il Kosovo: “Qui c’è Nole, qui è Serbia”

Pubblicato il 3 Giugno, 2023

“Tutti i serbi gridano: Non rinunceremo mai al Kosovo/È sempre stato nostro, è rimasto nostro attraverso le epoche/O Kosovo, Kosovo mia terra adorata/La terra dei grandi cavalieri Lazar e Milos“.

Fine gennaio del 2022. Novak Djokovic si sta riposando a Budva, in Montenegro.

È appena uscito da uno dei momenti più brutti della sua vita. Dopo essere volato in Australia per giocare il primo Slam della stagione, è stato incarcerato per essersi presentato senza la necessaria vaccinazione contro il Covid, infine espulso. Nel ristorante dell’hotel che lo ospita, avrebbe molte cose a cui pensare. Invece, intona la canzone popolare che incarna il sentimento serbo sul Kosovo, e guida il coro agitando il tovagliolo, ricostruisce il Corriere.

Anche ieri notte il suo murale a Rahovec è stato imbrattato da qualche esponente della minoranza albanese. Succede ogni volta che una scintilla fa accendere la questione etnica nel Kosovo del Nord.

A febbraio era stata gettata una tanica di vernice bianca sul dipinto commissionato sette anni fa a un artista di Belgrado. Era stato subito restaurato. Adesso è stata usata una bomboletta spray, per disegnare uno scarabocchio sulla faccia del campione. La prossima, chissà. L’ultimo sfregio non è diretta conseguenza delle sue dichiarazioni sul Kosovo cuore della Serbia fatte al Roland Garros, e poi ripetute con convinzione nonostante la reprimenda del governo francese e la richiesta di squalifica da parte delle Federazione tennistica kosovara. Piuttosto, si tratta di un riflesso condizionato.

Djokovic

La retorica nazionalista si alimenta di simboli, e il campione serbo è diventato un eroe, una bandiera da sventolare sotto il naso della minoranza albanese.

La quantità di santini dedicati a lui nelle strade del nord kosovaro non sono certo un tributo alle sue imprese sportive, ma un modo per marchiare il territorio. Come recita la scritta sotto a un suo poster appeso in una bacheca elettorale di Zvecan, “Qui c’è Nole, qui è Serbia”.

Suo padre Srdjan e suo zio sono nati a Zvecan, che non è solo la città degli scontri dove sono stati feriti 34 soldati della missione Nato, ma la capitale dell’irredentismo a maggioranza serba che non riconosce il Kosovo come Stato autonomo. Gran parte della sua famiglia ha vissuto qui per trent’anni. In questi posti così aspri, lui è di casa.

Cosa pensi Djokovic della disputa con il Kosovo non è mai stato un mistero. Anzi, è questa la ragione della fioritura di murales che celebrano le sue gesta, ne abbiamo contati almeno una decina nell’area compresa tra Mitrovica e Zvecan. Dopo il 17 febbraio 2008, quando Pristina dichiarò la propria indipendenza, guidò una manifestazione di protesta a Belgrado, terminata con l’assalto all’ambasciata degli Stati Uniti. Poco dopo, venne in visita nella “sua” Zvecan. Il conferimento della cittadinanza onoraria fu interpretato dai media locali come la risposta dei locali alla nascita del Kosovo: no pasaran. “Sono addolorato come tutti i miei connazionali – disse durante la cerimonia davanti al municipio teatro degli scontri di questa settimana – Ma sappiamo tutti che il Kosovo fa parte della Serbia e sarà sempre così”.

A nord del ponte di Mitrovica lo celebrano come un eroe. Dall’altra parte, sul versante albanese, una delle scritte sui muri più frequenti riporta il suo nome accompagnato dalla scritta “mut”, un insulto scatologico. Le pressioni degli sponsor lo hanno fatto spesso fatto scendere a più miti consigli, perché la fama di nazionalista non si addice a una icona globale. Ma chi nasce e pensa quadrato, non diventa tondo all’improvviso. Nel 2016 festeggiò la vittoria della ATP Cup intonando Vidovan, un canto folcloristico composto nel 1989, l’anno del famoso discorso di Slobodan Milosevic rivolto ai serbi di Mitrovica che aprì il vaso di Pandora della guerra nella ex Jugoslavia. “Nessuno può strappare questa terra dalla mia anima”, recita la prima strofa.

Sergjan Milosavlević, capolista di Lista Serba e ciambellano della protesta di Zvecan, lo definisce come il condottiero della maggioranza serba. “Lo sentiamo vicino. Sappiamo che lui ci aiuta in ogni modo possibile, e per fortuna la sua generosità non finisce certo sui vostri giornali occidentali”. Le dichiarazioni parigine di Djokovic non devono certo stupire. Ma su una cosa il vincitore di 22 titoli Slam ha ragione. In Serbia, la pensano tutti o quasi come lui. Anche per questo, il Kosovo del Nord è destinato a rimanere ancora per molto tempo una spina nel fianco dell’Europa.

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