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La messinese “madre coraggio” di Chicago: “Ho lottato contro le gang, ora ho paura del Covid”

Messinese, medico negli Usa da decenni, è la “madre coraggio” che ha strappato il proprio figlio alle gang. Da anni cura i cittadini dei quartieri più violenti di Chicago. A gennaio, quando in America nessuno temeva il Covid, ha scelto di isolarsi, soprattutto per proteggere il marito, colpito da ictus

Pubblicato il 22 Agosto, 2020

Vent’anni fa è stata “donna dell’anno” ed è venuta in Sicilia, dove è nata, per la cerimonia di consegna della “mimosa d’oro” a San Giovanni La Punta (Catania). Indicata come la “madre coraggio di Chicago”, Amelia Conte-Russian era, in quella premiazione, insieme con vere e proprie star della solidarietà internazionale come Heather Mills, allora fidanzata di Paul McCartney, modella senza una gamba a causa di un incidente, fondatrice di onlus dedicate ai bambini malati del mondo.

Conosciuta dalle tv e dai giornali statunitensi come la “mamma con una missione”, Amelia Conte Russian, originaria di Messina e medico internista a Chicago, aveva infatti dato vita ad una vera e propria “crociata” per aiutare i ragazzini a uscire dalle gang. A partire da una dolorosissima esperienza personale. Il suo figlio maggiore, Eric, sopravvissuto ad un tumore a 8 anni, nell’adolescenza era rimasto affascinato dalla “legge” dei gangster ed era diventato un “wannabe” (un “vorrei essere”) dei Gangster Disciples. Per capirci, essere “wannabe” significa che devi compiere reati, furti anzitutto, e soprattutto ai danni dei tuoi familiari, così da dare la prova che da quel momento in poi la tua vera famiglia sarà appunto la gang.

Allora la famiglia Conte-Russian viveva a Naperville, uno dei sobborghi di Chicago, una zona di bianchi benestanti, ville e piscine, giardini senza recinzioni e bambini in bicicletta che disciplinatamente lasciano il passaggio ai pedoni. A quel tempo Naperville era già stata incoronata per diversi anni come “il miglior posto in America in cui crescere i propri bambini”.

“Non bisogna chiudere gli occhi di fronte ai problemi – diceva  invece in assoluta controtendenza Amelia Conte-Russian – mai considerarsi intoccabili dalla devianza”. A fare notizia era stato il fatto che, confrontandosi direttamente con il capo dei Gangster Disciples, quasi sfidandolo, era riuscita a strappare suo figlio Eric alla gang. Una specie di miracolo della volontà. Un motto afferma infatti che “nella gang si entra ammazzando e si esce ammazzati”.

Dopo una giovinezza tormentata, oggi Eric ha 42 anni, vive in Arizona con la sua compagna e i tre figli di lei. Lavora in fabbrica. Ha un’esistenza piena di affetti e sicurezze. E niente di tutto questo era scontato.

Chicago, le gang e le ineguaglianze sociali

Il conto dei morti a Chicago è infatti di quelli da fare paura: 4000 omicidi dal 2011 al 2019, 19000 feriti dal 2012. Il Crime Lab dell’University of Chicago è il centro nazionale per la ricerca sul crimine negli Stati Uniti. La città è al terzo posto con 21 omicidi ogni 100 mila abitanti (Los Angeles ne ha 6,3 e New York ne ha 3,4). Alla stampa il Crime Lab spiega che “Chicago è un caso a sé. Perché pur essendo fra le città più grandi, avanzate, agiate e teoricamente sicure del mondo, registra un tasso di criminalità elevatissimo, parecchio distante da città simili, come New York e Los Angeles”.  Un problema legato “all’ineguaglianza fra quartieri”. L’area vasta di Chicago, con i suoi sobborghi come Naperville, è composta da isole di benessere che cercano di non avere alcun contatto con i quartieri difficili della metropoli ma anche con le aree di degrado che possono estendersi un passo oltre il cancello e le recinzioni dei complessi residenziali.

D’altronde, dice Amelia Conte-Russian, “se è successo quello che è successo nella mia famiglia, se è successo a Naperville, può succedere a chiunque e ovunque”. È necessario dunque ribadire che “ovunque dalle gang si può e si deve uscire”, che “chiunque” può fare questa scelta, pur sapendo che si tratta di una “scelta difficilissima”. Tra le sue attività, Amelia ha promosso un laboratorio per la rimozione gratuita dei tatuaggi, perché – ha ricordato – “anche l’immagine è fondamentale per capire chi sei e, soprattutto, chi vuoi essere”.

“Io emigrata? No. Io sono cittadina del mondo”

La vicenda pubblica della “mamma contro le gang” però non esaurisce l’identità di Amelia Conte-Russian. A definirla sono alcune scelte privatissime. La prima, forse la più importante, è stata quella di lasciare l’Italia a 25 anni. Già laureata in medicina, Amelia segue Dario, che diventerà suo marito, a Chicago, dove costruirà con lui la loro famiglia.

Non mi sono mai sentita una emigrata. Non mi sono mai definita in una categoria specifica. Ho sempre pensato che potrei vivere in qualunque posto nel mondo. Se mi chiedono da dove viene il mio accento, ormai dico solo che sono nata in Italia. Ho cercato di dire che sono nata in Sicilia ma qualcuno qui non sapeva che la Sicilia fa parte dell’Italia e così ora semplifico: sono italiana”.

Un’altra scelta fondamentale è stata quella di tentare la strada della politica e di lasciare Naperville, che peraltro nel tempo ha mantenuto la sua buona fama (tra l’altro è stata classificata tra le città più sicure degli Usa da  USA Today e Business Insider e nel 2006 è stata votata come secondo miglior posto dove vivere negli Stati Uniti dalla rivista Denaro, per essere inoltre nominata nel 2015 come una delle grandi città più istruite d’America).

Nel 2005 Amelia Conte-Russian vende il suo studio medico e la sua “pratica” e va a vivere a New York “con l’intenzione di fare politica e di ricominciare in un posto tutto nuovo per me, ma così affascinante e pieno di vita”. In politica fallisce. “Anche se mi ero preparata politicamente, non avevo tenuto in considerazione il fatto che la mia personalità non mi avrebbe permesso di accettare sotterfugi e compromessi”.

E così ha ricominciato a fare “l’unica cosa che sapevo fare: il medico”. Per anni ha girato di Stato in Stato, ovunque ci fosse bisogno, restandoci a volte per mesi, a volte per settimane. Ma sempre ritornando a New York per “riossigenarsi”, come dice lei.

Non solo la lotta alle gang, ma anche il lavoro di medico nei quartieri difficili

Poi Amelia Conte-Russian si trasferisce di nuovo, stavolta proprio a Chicago. E comincia a lavorare “in posti dove la miseria di questa città mi si butta addosso”, a visitare “malati nelle zone west e south della città”, i quartieri impossibili, quelli nei quali i tassisti rifiutano di accompagnarti. Lei bianca benestante e professionista nelle zone in cui ci si spara per un nonnulla, complice la diffusione di armi da fuoco che il Crime Lab definisce una delle fonti più gravi della violenza tracimante delle strade di Chicago.

Amelia Conte-Russian cura persone la cui situazione è “indescrivibile”. “Nel paese più ricco del mondo – dice – ci sono esseri umani che vivono nella miseria assoluta, nella sporcizia, in case sovraffollate, infestate dagli scarafaggi, dove i bambini, tanti, dormono nello stesso letto con gli adulti”. Ma “in tutto questo disastro non ho mai incontrato una persona che sia stata violenta verso di me; ho incontrato tanta gentilezza associata a tanta rassegnazione”. E davvero “questo è importantissimo che si dica. Questa è la cosa più importante. Esseri umani costretti a vivere in queste condizioni che mi hanno sempre mostrato gentilezza e gratitudine”.

La scelta del lockdown quando negli Usa nessuno ne voleva parlare

Amelia, che ha compito 70 anni il 2 agosto, ha smesso di lavorare come internista a gennaio di quest’anno. Una decisione obbligata. Il marito Dario di recente ha avuto un ictus. È una persona da tenere protetta da qualsiasi minaccia di contagio. “La cosa che mi turba enormemente – dice – è il fatto che sono rimasta isolata praticamente da tutta la mia famiglia e dai miei amici. La persona che ero se n’è andata durante il lockdown e adesso sono una persona nuova soprattutto per me stessa: dubbi, paure, sconforto abbondano nella mia vita e molte volte mi paralizzano. Questo virus che ancora non mi ha toccato fisicamente, certamente mi ha toccato e continua a toccarmi psicologicamente”.

L’Italia c’entra anche in questa decisione di fare tutto il possibile per tenere fuori dalla propria casa e dalla propria vita il Covid. “Qui sembrava che non ci fosse pericolo. Tutti assicuravano che la pandemia non ci avrebbe riguardato. Ma io seguivo le notizie dell’Italia. Sentivo i miei amici e parenti italiani. Ero ovviamente molto vicina alla loro tragedia, ero coinvolta dalle loro paure e dai fatti che accadevano nel mio Paese… e ho pensato che avrei dovuto agire autonomamente, ragionare con la mia testa, al di là della propaganda che in quel momento attraversava tutti gli Usa. Quindi ho preso la terribile decisione di isolarmi insieme con mio marito”.

Non per caso. Amelia è medico da decenni. Ricorda ancora che, una volta arrivata negli Stati Uniti, la sua laurea non valeva e ha dovuto rimettersi a studiare. Uno dei motivi che spesso le hanno fatto rimpiangere di aver lasciato l’Italia. Assieme alle difficoltà iniziali della lingua e al fatto che all’inizio si è trovata a dipendere interamente dagli altri, per qualsiasi commissione quotidiana, per qualsiasi contatto sociale. All’inizio della pandemia, da medico Amelia ha capito i rischi che si correvano. Anche perché pure suo figlio Marc, che compirà 39 anni a settembre, è medico. La loro frequentazione sarebbe stata pericolosa. Per tutti loro e anche e soprattutto per i 2 bimbi di Marc, Cyrus che farà tra poco 5 anni e per Cora che farà tra poco 11 mesi.

Amelia da mesi è lontana anche da Astrid, la terza figlia, 34 anni. “La sua situazione mi mette molta tristezza”, dice, perché a gennaio Astrid che era segretario esecutiva in un grosso studio legale ha perso il lavoro. Anzi, non è che è stata lei a perdere il lavoro, è stato lo studio legale a chiudere. Segnali di crisi che non lasciano grandi dubbi sulla condizione di numerose aree statunitensi. A fare compagnia alla giovane Astrid per fortuna ci sono i suoi due cani, Tank e Frank, entrambi salvati dal canile.

La pandemia e la sanità privatizzata: una tragedia immane

“Ci sarà sicuramente un’ondata più grave della pandemia qui in America”, dice oggi Conte-Russian. “Un’ondata che si sovrapporrà a quella attuale che è ancora grave”.  E – tragedia nella tragedia – “qua abbiamo una medicina non socializzata, non pubblica. Per questa ragione molte persone non vanno dal medico perché devono pagare e non possono pagare. E molte persone, perdendo il lavoro hanno perduto l’assicurazione sanitaria. E quindi non possono curarsi. Né fare gli esami per scoprire se sono contagiati e magari asintomatici. Avevo temuto e previsto fin dall’inizio che la pandemia negli USA sarebbe stata peggio che in molte altre zone del mondo. E purtroppo temo di avere avuto ragione”.

“Oltre a tutto questo ci aspettiamo uno sfacelo economico ancora peggiore di quello che stiamo vivendo adesso. E cosa dire della situazione politica? Trump non se ne vuole andare nemmeno se a novembre dovesse perdere le elezioni”.

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