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Il Razzismo visto da Marcello Turno

Pubblicato il 13 Giugno, 2020

Psichiatra e psicoanalista, membro dell’International Psychoanalytical Association (IPA) e della Federazione Europea di Psicoterapia Psicoanalitica (EFPP). Appassionato di scrittura sperimentale è stato autore di numerose azioni sceniche per teatro danza, fra cui Pater noster, Ichspaltung, Metamorphosis, Saffeides, realizzate dal Nouveau Theatre du Ballet International di Venezia e da Immagine Danza di Roma. Ha scritto per il teatro Electra e Io Cesare, Bruto, forse la rivoluzione, messo in scena con un gruppo di tossicodipendenti inseriti in un programma di recupero, di cui ha curato anche la regia. Ha collaborato alla sceneggiatura del TV movie L’uomo del vento. Ha pubblicato per Alpes “Il mancato suicidio di Luigi Pirandello” (2013) e sempre per lo stesso editore “Storie nere in stanze d’analisi”. Vive e lavora a Roma.

“Razzismo” è una parola orrenda. Più passa il tempo e più diventa potente. Si ingigantisce si arricchisce di significati e sfumature, assume varianti. Ha il rumore stridente e lacerante di una sega circolare che taglia a fondo e in maniera cruenta il tessuto sociale…

Se esiste il razzismo non è certo colpa di de Gobineau che ne scrisse a metà dell’ottocento. Lui rappresenta la voce di quei mutamenti sociali e di casta della civiltà occidentale che si sentiva minata nel suo patrimonio culturale e genetico. Viveva in maniera persecutoria quello che per secoli era avvenuto quasi spontaneamente, la mescolanza delle razze, e che secondo lui avrebbe condotto al declino della civiltà.

È avvenuto? possiamo chiedercelo 170 anni dopo… Oggi si è in grado di dare una risposta a questo tematica paranoica di de Gobineau?

E da lì purtroppo il via ad altre sventure con un concetto di razza e di razzismo di cui Hannah Arendt ne ha segnalato la sconcertante modernità e l’occasione di predominio dell’uomo sull’uomo. La differenza etnica legittima il concetto di diversità come superiorità, credere che l’altro sia inferiore solo perché di cultura differente. Sovente l’incontro tra differenti tipi di culture porta ad incomprensioni che possono spingere a fenomeni di emarginazione. In questo caso il razzismo diventa bidirezionale: ciascun gruppo crederà che l’altro sia inferiore; prevale la convinzione che valori e principi del proprio gruppo siano i soli possibili e che qualsiasi altro con altri valori e principi sia un diverso o addirittura culturalmente più arretrato.

In psichiatria qualcuno ha azzardato una interpretazione del razzismo attribuendolo a fattori istintivi o temperamenti differenti fra le varie razze.

Ma se diamo una sbirciatina all’opera omnia di Freud la parola razzismo non è mai contemplata, né possiamo considerare il razzismo una categoria psicologica o psicopatologica. Allora perché si è razzisti lo si può spiegare sociologicamente e antropologicamente, se l’uomo conservi in sé un seme che germoglierà in una pianta razzista è difficile da affermare. Ciò che certamente ci portiamo dentro è il timore del diverso, dello sconosciuto, di ciò che è nuovo e inconsueto. Perturbante, appunto, lo definì Freud, unheimlich.

Il razzismo, a seconda della persona, assume differenti vissuti…

Se mi dovessi rifare alla teoria freudiana e parlare di una categoria potrei azzardare a una paura dell’invidia dell’altro. Chi vivo diverso da me potrebbe invidiare ciò che posseggo fra cui anche il colore della pelle. “Chi possiede qualcosa di prezioso e al tempo stesso di perituro teme l’invidia del prossimo, in quanto proietta sugli altri l’invidia che egli proverebbe se egli si trovasse al loro posto” (S. Freud). Lo trovo illuminante ma si può aggiungere che chi soffre di questo atteggiamento sa bene cosa sia l’invidia. Ne conosce la tossicità, l’ha vissuta.

“Se nella xenofobia il desiderio è trasformato in ostilità, nel razzismo è pervertito in bisogno compulsivo di scarica delle emozioni. Nella sua forma conclamata, il razzismo, è una forma di esistenza chiusa in se stessa, indifferenziata e indifferente, è l’espressione sociale più evidente del narcisismo di morte: il blocco dell’estroversione naturale della soggettività, il delirio silenzioso, sottostante all’esaltazione della purezza delle proprie origini, di una vita isolata dal mondo reale. Banale e mortifera, quella del razzista è soprattutto una vita eticamente “vile”.” – è d’accordo con questa riflessione di Sarantis Thanopulos ?

Sì, certo perfettamente d’accordo. Il riferimento alla xenofobia è la precisa descrizione del meccanismo che porta all’intolleranza. Nella sua brutale descrizione Thanopulos coglie la verità. Questa privazione dell’altro è aberrante, sono parole, le sue, che lette da chi ha raziocinio, empatia e attenzione verso l’altro provocano dolore. Anche la sua descrizione del razzismo conclamato è calzante. La pericolosità, appunto, è data dalle diverse forme e manifestazioni che assume il razzismo che si trasforma in intolleranza agita, espulsiva e violenta. Il termine razzismo è diventato un crogiuolo in cui si fondono tutte le intolleranze… e questo è quanto de Gobineau non ha previsto. Lui che si credeva accerchiato alla fine la sua ideologia è cresciuta, si è autoalimentata e ha finito per accerchiare gli altri. Alla base di tutto c’è sempre un concetto della pericolosità dell’altro ed è chiaro che di fronte a un simile fenomeno le considerazioni di Bion sul su assunto di base di attacco-fuga suonano profetiche. I gruppi razzisti cominciano a pensare che esiste un nemico da attaccare o da cui fuggire, o qualcuno responsabile della situazione in cui si trovano e che desiderano cambiare. Il loro interesse è quello di individuare un colpevole da affrontare e sconfiggere.

Quale può essere una cura per il razzismo?

Certamente la cultura. I ragazzi di oggi con il loro viaggiare, conoscere culture e confrontarsi con persone di altri paesi possono rappresentare una speranza per il futuro.

“Via col vento”, è stato ritirato dalla piattaforma HBO Max…”è razzista”. Cosa ne pensa?

Personalmente conosco la storia ma non ho mai visto il film, so che può apparire grave, ma da adolescente non era nelle mie corde. Preferivo magari leggere i racconti della guerra di secessione di Ambrose Gwinnet Bierce o l’Ultimo dei mohicani che rappresenta un inno alla fratellanza. Via col vento sarà un film agiografico di un tempo passato che sicuramente non era così, ma a questo punto mi viene voglia di vederlo, sono sicuro che oltre al contenuto visivo, manifesto, qualcosa che rappresenti il senso di colpa degli schiavisti ci deve essere per forza.

Intervista di Doriano Fasoli

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