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“La Sanità siciliana? Prestazioni di alta qualità, organizzazione pessima”

18 missioni umanitarie e 10 anni negli ospedali e nei policlinici universitari inglesi: Bruno Majone, oftalmologo, dirigente medico all’ospedale di Milazzo, si è messo alla prova nel mondo. “Messina – dice – era già di periferia quando ero ragazzo, oggi mi sembra addirittura peggiorata”

Pubblicato il 21 Settembre, 2020

“Alla fine ti resta il mare, ti restano quei quattro amici che condividono da sempre i tuoi ideali, ti resta la soddisfazione di impegnarti per fare al meglio la tua parte. Ma – al di là di clima e natura e affetti antichi – Messina e il suo hinterland erano già ‘periferia’ quando ci vivevo da ragazzo e lo sono ancora oggi. Oggi, anzi, mi sembra che il clima generale sia addirittura peggiorato. Non mi ci trovavo bene prima, non mi ci trovo bene ora, dopo le esperienze internazionali maturate. Così conduco una vita sociale circoscritta e mi dedico sempre di più al lavoro”. È il lavoro della vita, il suo, quello voluto fin dai banchi di scuola, un po’ missione un po’ tecnica, comunque responsabilità.

Ritorno alla Sanità siciliana, dopo 10 anni in Inghilterra

Bruno Majone, messinese 53enne, è oggi dirigente medico di I livello all’ospedale di Milazzo (oftalmologia). Ma a questo luogo e a questo ruolo è arrivato dopo aver operato in mezzo mondo, dall’Africa delle sue 18 missioni umanitarie – Madagascar, Etiopia, Costa d’Avorio, Libia – all’Inghilterra che ha lasciato da primario, dopo averci trascorso circa 10 anni di vita con tutta l’esperienza che questo comporta.

Dal 1995 al 1998 Majone ha lavorato all’ospedale di Bolton, poi è tornato in Italia per completare la specializzazione, ha visto che qui non c’era lavoro ed è ripartito per l’Inghilterra nel 1999, approdando all’Università di Croydon, dove è rimasto fino al 2001. Nel 2002 ha avuto un contratto all’ospedale di Milazzo, ma, dopo alcuni mesi, in attesa di concorso, è ritornato in Inghilterra dove è rimasto per un anno, sempre alla Croydon University. Quindi, vinto il concorso, è tornato a Milazzo. Solo per un po’.

Nel biennio 2011-2012 si è rimesso in gioco in Inghilterra. Gli specializzandi con i quali aveva condiviso il percorso precedente erano diventati via via primari. Lui non voleva essere da meno. “In un sistema puramente competitivo, nel senso di una competizione pura, basata esclusivamente sulle tue capacità, volevo giocarmi le mie carte e scoprire quanto valevano”.  È diventato primario, e da primario di ruolo è stato all’ospedale di Dorchester fino al 2015. Quell’anno la madre si è ammalata di demenza, il fratello aveva bisogno di lui e sembrava non capire come mai, avendo un posto di lavoro a Milazzo, Bruno insistesse a restare in Inghilterra, e lui ha deciso di tornare. Stavolta in via definitiva. “La mia famiglia era composta da mia mamma e da mio fratello. Ho pensato che non c’era motivo di tornare in Italia da pensionato, con mia madre che presumibilmente sarebbe già venuta a mancare e mio fratello deluso e arrabbiato con me”. La madre è morta nel 2018. A quel punto Bruno ha deciso di rimanere a Milazzo.

In Sicilia una Sanità stritolata dal pressapochismo meridionale

Pazienti aggressivi, orari non rispettati, gente che urla… per Bruno il pressapochismo meridionale, la diffidenza e le incomprensioni nel rapporto medico-paziente sono una caratteristica negativa della Sicilia. Nella Sanità ma in genere nella vita di tutti i giorni.

“Se in Inghilterra sei in un ufficio postale e l’impiegato manca un attimo non pensi che stia telefonando alla fidanzata fregandosene di te, pensi che stia svolgendo un’attività di servizio e che tornerà subito”. Un’atmosfera generale, uno spirito collettivo completamente diversi da “quelli a cui noi in Sicilia siamo ormai assuefatti”.

Da noi “la cultura gratuita del sospetto vago”, lì “un forte senso civico, di appartenenza, di indignazione sana e propositiva per la quale certe cose non si fanno non soltanto se sono illegali ma anche e soprattutto perché non sono morali, non sono giuste”.

“Qui da noi il senso morale sembra inesistente. Te ne accorgi anche nei rapporti tra colleghi. Gelosie, invidie… in Inghilterra fai parte di un team e i tuoi colleghi, così come i tuoi superiori, seguono la tua carriera ovunque tu vada, contenti e partecipi dei tuoi successi”.

“La Sicilia? Un posto bellissimo rovinato da confusione, diffidenza, provincialismo”

Il che fa il paio con quella internazionalità, quella multiculturalità a cui Bruno si era abituato in Inghilterra. “Avevo colleghi cinesi, indiani, pakistani, neozelandesi, australiani, canadesi… si parlava di politica, di storia, di cultura e ci si arricchiva. Invece, purtroppo, la Sicilia, per quanto bella, resta un posto provinciale ai confini del mondo”.

Della situazione attuale della Sicilia, insomma, Majone dice: “Che peccato! Questa nostra terra è bellissima, offre così tanto, anche in termini di intelligenze e capacità, oltre che di storia, cultura e natura, che ci si aspetterebbe di ritrovarla trasformata in quel paradiso che potrebbe essere … E invece no. Così tante qualità ‘annegate’ in una atmosfera di confusione, diffidenza, provincialismo …. Qui è come se non si avesse la misura delle cose. Ricordo quando da ragazzo a piazza Cairoli, nel centro di Messina, ascoltavo attonito ore e ore di discussioni per un incidente stradale capitato nei dintorni. Nel frattempo nel mondo succedeva di tutto. E anche se è perfettamente naturale e umano, e persino giusto, interessarsi di ciò che ti tocca da vicino, non è normale ‘dimenticarsi’ o, addirittura, ‘negare’ il valore, l’impatto, gli effetti di quello che capita ad un livello più ampio. Il mondo è piccolo. Non devo essere io a ricordarlo. È sotto gli occhi di tutti, quest’anno come non mai. Eppure, la sensazione che ho – e sulla quale spero tanto di sbagliarmi – è che dalle nostre parti valga di più, sempre, il proprio minuscolo orticello rispetto al contesto, alla comunità, al resto delle persone. Se così fosse, sarebbe una disgrazia irredimibile”.

Quei concorsi inglesi in cui si ribadisce il valore della cosa pubblica

Una “disgrazia” che impatta – neanche a dirlo – anche sulla salute, o, meglio, sui servizi sanitari. “Voglio dirlo con un paio di esempi concreti, ché altrimenti sembro affetto da sterile esterofilia. Il primo esempio è questo. Quando ho fatto il concorso in Inghilterra, tra le domande d’esame c’era questa: ‘come ti comporteresti se vedessi un tuo collega fare delle fotocopie personali in ufficio?’. Un quesito che dà la dimensione di quanto sia importante, lì, il rispetto della ‘cosa pubblica’. Il secondo esempio? In Inghilterra devi comunicare il tuo periodo di ferie con mesi d’anticipo, così che i tuoi pazienti, il reparto, tutto ciò che fai quotidianamente, possano essere ‘trasferiti’ ad altri colleghi nei giorni in cui sei assente, e, soprattutto, l’insieme della collettività – i medici e gli operatori da un lato, i malati e i loro familiari dall’altro – non abbiano a patire alcuna conseguenza negativa. Qui una organizzazione del genere sembra utopia. Il risultato? Beh, mentre in Inghilterra ognuno fa il proprio senza stress e il sistema fornisce, grazie all’apporto di ciascuno, i servizi che deve fornire, qui il carico di lavoro sembra decisamente maggiore, eppure i risultati non sempre sono commisurati a tanto impegno ed è negativa, molto spesso, la percezione da parte dell’utenza, che è un’utenza fragile per definizione, bisognosa per definizione, perché si tratta di malati e familiari di malati, per i quali aver fiducia nel medico e nel sistema sanitario sarebbe di grande aiuto anche sotto il profilo dell’efficacia delle cure”.

Il cartellino, simbolo di tutto ciò che non va nel rapporto cittadino – istituzione

E c’è un altro esempio ancora: il cartellino. Qualche tempo fa Majone ha ospitato un amico e collega inglese. Che lo ha visto timbrare il cartellino all’entrata in ospedale. Rimanendone sconcertato. “Il cartellino è – con tutta evidenza – la prova della mancanza di fiducia tra l’istituzione e il dipendente”. Una fiducia forse impossibile, date le circostanze, ma della quale Bruno sente una bruciante mancanza. “Nei miei 10 anni fuori ho imparato quanto bene faccia operare in un clima di fiducia reciproca”.

In Sicilia la mancanza di fiducia e le “grezze furbizie che l’hanno causata e la causano giorno dopo giorno” sono, per Bruno Majone, fatti gravi, e con gravi conseguenze. “Qui se ti conoscono, magari perché conoscono un tuo familiare oppure perché sono stati con te a scuola, le persone ti si affidano ciecamente. Come se il fatto di conoscersi bastasse a garantire capacità mediche. Io posso essere stato amico d’infanzia di tuo fratello, ma essere lo stesso un pessimo medico. E se non ti conoscono, invece, diffidano. Pensano di te il peggio. Per conquistarti la loro fiducia – per convincerli, per esempio, a seguire una terapia o a sottoporsi ad un intervento chirurgico – fai una fatica immane, e perdi molto tempo, a discapito della loro stessa salute. In Inghilterra, per dirlo chiaramente, è esattamente il contrario: tu sei una brava persona, e un bravo medico, fino a prova contraria. Ciò significa che la relazione medico-paziente è di quelle che agevolano diagnosi e cure. Con vantaggio di tutti”.

“Qui personale medico di grandi capacità, forse addirittura migliore di quello inglese”

Una situazione incresciosa anche – e soprattutto – perché “devo dire con tutta chiarezza che qui la qualità dei medici, e in generale del personale sanitario, è altissima. Sotto certi profili, è addirittura migliore di quella inglese. Ma si registrano mancanza di organizzazione, per un verso, e furbizie continue, per altro verso. Con un’organizzazione migliore si eliminerebbe un bel po’ della confusione che regna nel rapporto sistema sanitario – paziente, mentre bloccando sul nascere le furbizie (caso tipico è quello di chi salta la fila o non rispetta gli orari) pian piano si comincerebbe tutti a vivere meglio anche un momento oggettivamente non bello qual è quello di una malattia”.

È – insomma – un “problema di mentalità”. E Majone su questo confessa di non essere ottimista per il futuro. “È una situazione che mi rattrista e, anche se me ne sono fatto una ragione, non posso evitare di dispiacermi per quello che la Sicilia potrebbe essere e non è”.

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