I fatti del giorno

Libertà di opinione e di informazione, nasce (e cresce) il Patto Julian Assange

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Insieme nel nome di Julian Assange, il fondatore di Wikileaks oggi incarcerato nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, nel Regno Unito, simbolo incarnato di una libertà di informazione sempre più globalmente e più o meno esplicitamente ostacolata. Sono state necessarie sette settimane di incontri, ma finalmente ci siamo. L’assemblea costituente – della quale fanno parte una trentina di soggetti – ha formalmente licenziato il Patto Julian Assange, con lo scopo di creare un fronte di difesa comune contro le censure e le limitazioni della libertà di espressione che negli ultimi mesi si sono fatte sempre più frequenti e pressanti nelle grandi piazze virtuali che – nell’era digitale – si chiamano Facebook, Twitter, Google, Youtube.

Alcuni casi nei mesi scorsi

Ricordiamo l’oscuramento del profilo facebook del disegnatore Alfio Krancic, poi risoltosi a cancellare la propria pagina “Alla facciaccia di tutti coloro che segnalandomi in continuazione hanno causato la chiusura 3 miei account con relativa perdita di foto e note e mi hanno inflitto, solo nel 2018, 10 mesi di sospensione”. Per rimanere alla satira, ricordiamo le polemiche ridondanti seguite a una vignetta di Marione, al secolo Mario Improta, mentre era in discussione la Brexit: il vignettista ritrasse allora un Boris Johnson esultante all’uscita di un lager nazista, sul quale campeggiava la scritta Unione Europea. “E’ incredibile che non si possa nemmeno disegnare quello che si vuole. E’ la libertà al tempo delle ‘sardine’”, commentò Improta dopo che il post venne oscurato da Facebook. Ma gli esempi – piccoli e grandi – si susseguono. C’è il caso di Paolo Becchi, firma di Libero e docente di Filosofia a Genova: dopo aver espresso il proprio parere su alcuni tweet di un collega che elogiava Hitler – prendendo le distanze dal contenuto, ma difendendo la professionalità dell’autore – il professore subì la gogna istantanea della rimozione del proprio intervento da un incontro di presentazione del libro Le virtù del nazionalismo di Yoram Hazony al Centro Internazionale di Brera a Milano. Per poi passare velocemente a subire la tirannia degli algoritmi social: “Per me era un luogo di libertà e mai più mi sarei aspettato, quest’estate, di scrivere qualche messaggio – qualche volta anche su Facebook – e di avere all’improvviso di avere delle visualizzazioni pazzesche. Poi, d’improvviso, da 200 mila visualizzazioni: 5! Non si capiva per quale ragione, la chiamano: “censura morbida””, commentò ai microfoni di Byoblu. E proprio Byoblu, il canale di videoinformazione di Claudio Messora è stato oggetto negli ultimi anni di una sorta di persecuzione fatta di rimozioni di materiale video autoprodotto ma anche e perfino di pubblicazioni che si limitavano a riprodurre interventi parlamentari evidentemente scomodi. E’ quanto accaduto soltanto due mesi fa, quando Youtube ha rimosso dal canale il discorso in aula di Sara Cunial, deputato della Repubblica italiana, “con la motivazione che Viola le Norme della Community“.  Allora, Messora, lanciò un appello in rete chiedendo pubblicamente “ai presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, non senza rivolgermi parimenti al Presidente della Repubblica: è accettabile che le istituzioni di cui voi siete garanti, nell’esercizio delle loro funzioni siano giudicate incompatibili con le “Norme” che si dà una società privata straniera che opera sul nostro suolo?”.

La denominazione e il logo

Dalle decine di migliaia di esempi di piccole e grandi rimozioni social nasce dunque l’esigenza di dar vita al Patto Julian Assange, intitolato alla figura che più di tutte incarna oggi lo stato di una informazione  non più libera. “La scelta della denominazione “Julian Assange” e del logo, disegnato da Davide Dormino“, scrivono infatti i promotori, “non è solo un ulteriore sostegno alla causa della sua liberazione ma soprattutto rappresenta la volontà di mantenere una continuità con la tradizione di un Editore Indipendente che negli ultimi anni ha divulgato informazioni altamente strategiche per l’intera popolazione mondiale”.

Le richieste di difesa comune

Scopo precipuo del Patto, si legge nella nota stampa diffusa nelle scorse ore, è infatti “difendere i membri e le loro attività grazie alla cooperazione, alla sorveglianza e alla condivisione delle RICHIESTE DI DIFESA COMUNE”. Questo significa in soldoni che “nel caso in cui uno o più membri aderenti al Patto dovessero subire (da parte di istituzioni, providers, social network, gruppi censorii o individui) diffamazioni, accuse infondate o minacce, che conducano a limitazioni della propria attività, quali (indicativamente) : chiusura dell’account o delle pubblicazioni, cancellazione e censura di post e videoclips, shadow banning, demonetizzazione, sanzioni, danni d’immagine, etc…” ogni membro si impegna a valutare la richiesta  “e a condividerla prontamente e integralmente sui propri mezzi di diffusione con facoltà di esprimere ulteriore solidarietà nei confronti del membro “attaccato” e il dissenso nei confronti delle azioni censorie e sanzionatorie e dei loro effetti”. Al Patto aderiscono attualmente membri attivi ma anche osservatori partecipanti ma continuano ad arrivare moltissime richieste di adesione “che sono al vaglio secondo criteri di professionalità piuttosto rigidi”.

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Redazione Bari

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