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Migranti morti nel Mediterraneo, Nosiglia: la nostra indifferenza è diventata freddezza

Pubblicato il 28 Aprile, 2021

Una veglia di preghiera in suffragio dei migranti morti nel Mediterraneo, quella presieduta ieri sera da Mons. Cesare Nosiglia. “Vogliamo fare nostra – ha affermato l’Arcivescovo di Torino – l’angoscia delle decine di persone che hanno perso la vita ieri nel Mare Mediterraneo vicino alla costa libica: persone a cui è mancato qualsiasi tipo di soccorso e che sono state indotte da trafficanti senza scrupoli ad attraversare un mare agitato. Sentiamo su di noi il peso di questa angoscia, di questa sofferenza, di questo dramma, di questa tragedia accaduta vicino a noi, tanto vicino a noi, vicino al nostro Paese, vicino alla nostra Europa, al confine dell’Europa”.

Queste notizie – ha proseguito Nosiglia– passano tanto velocemente ed è anche questo che ci stupisce. La nostra indifferenza è diventata freddezza: si passa da una cosa all’altra senza mai fermarsi se non attorno a noi stessi e alle nostre sofferenze. E allora ascoltare la Parola del Signore, e con essa il grido di angoscia lanciato da tante persone durante questo viaggio e altri viaggi, in balìa di condizioni di viaggio insopportabili, è per noi un momento per fermarci e per dire che tutto questo è inaccettabile. Dobbiamo reagire ogni giorno nella vita, innanzitutto innalzando la nostra preghiera al Signore, lottando ogni giorno per vincere l’indifferenza di questo nostro mondo, di questo nostro tempo così stordito, così preso da sé”.

Nosiglia
Mons. Cesare Nosiglia

Ancora Mons. Nosiglia: “Siamo capaci di amare e di ospitare lo straniero come Dio lo ospita nel mondo e lo salva nella sua misericordia? È la domanda che ci fa questa sera la Parola del Signore e allora l’angoscia diventi misericordia, diventi la misericordia di ogni giorno di colui che apre il cuore, che permette all’altro di rigenerarsi, di sentirsi a casa sua, di prendere fiato e di fare l’esperienza che c’è qualcuno che condivide con lui la propria storia. Facciamo dell’ospitalità ogni giorno in questa città un evento di grazia del Signore, mostriamo che l’ospitalità è possibile; che non solo è possibile ma che è un evento di grazia del Signore e che le porte chiuse e che i muri rappresentano solo una crudeltà.  Diffondiamo la cultura dell’accoglienza e dell’ospitalità che è la cultura di cui oggi questo mondo ha bisogno e di cui manca tanto, per accogliere l’onore della visita che il Signore ci fa attraverso la storia, la vita di tanti migranti, di tanti rifugiati e dei loro figli”.

“È risuonata in me – ha poi concluso l’Arcivescovo – la richiesta del Signore ‘dove è il tuo fratello? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo. Sì cari amici vorrei che sentissimo risuonare questo grido perché forse anche in noi prevale la risposta di Caino: sono forse io il custode di questi miei fratelli? Sì, ne siamo tutti i custodi e dunque ne siamo tutti causa anche della loro tragedia e morte. Non possiamo solo alzare il dito per accusare altri che pure hanno una grande responsabilità, ma accusiamo anche noi stessi la nostra indifferenza e noncuranza verso questi fratelli e sorelle e chiediamo il loro perdono perché non si ripeta più una simile tragedia. Solo così potremo ricevere anche da Dio il perdono e la forza di opporci ad ogni forma di esclusione e rifiuto di chi ci interpella nella miseria e sofferenza che vivono tanti immigrati che giungono nel nostro Paese dal nord al sud e chiedono di essere considerati veramente come spesso diciamo a parole nostri fratelli e sorelle”.

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