Il nome del padre era uno dei tasselli mancanti nella vicenda di Alessia Pifferi, la 36enne di Milano in carcere da due settimane con l’accusa di omicidio volontario nei confronti della figlia di 18 mesi per averla lasciata morire di fame e sete.
Per gli inquirenti la versione dell’uomo servirà per completare il quadro sulla donna e sul contesto familiare in cui la piccola è cresciuta
La donna, in cella a San Vittore, continua a chiedere di lui, che però non ha mai risposto alle telefonate dei legali.
Molto probabilmente l’uomo, 58 anni, un elettricista di Leffe, in provincia di Bergamo, ha cambiato numero e non vuole più avere contatti con lei dopo l’orrore.
Gli avvocati hanno più volte cercato di contattarlo, ma l’uomo si è reso irreperibile.
L’ipotesi è che pure lui, così come la madre di Alessia, non intenda più parlarle dopo quanto è accaduto.
Nell’interrogatorio di garanzia la 36enne aveva detto al gip che aveva preferito restare nella casa del fidanzato quei sette giorni in cui la piccola Diana era rimasta sola in casa. Era cosciente del rischio a cui esponeva la piccola, ma voleva stare con il compagno, con il quale aveva appena cominciato una relazione.
Resta il mistero sul contenuto del latte nel biberon della piccola, su cui l’avvocato della Pifferi Solange Marchignoli aveva presentato riserva di incidente probatorio.
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