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Saman

Saman, il padre scoppia a piangere: “Era mio cuore, mio sangue. Non sono un animale”

Pubblicato il 19 Dicembre 2023

“Mai nella vita mia ho pensato di uccidere mia figlia. Neanche gli animali fanno queste cose. Signori giudici non ho mai pensato queste cose”.

E’ scoppiato a piangere Shabbar Abbas, quando da alcuni minuti stava parlando ai giudici della Corte di assise di Reggio Emilia, davanti ai quali è con la pesantissima accusa di avere ucciso la povera Saman.

“Era mio cuore, mio sangue, ho portato qua il mio cuore e il mio sangue. Non ammazzo figli, non sono un animale. Neanche da pensare”, ha aggiunto l’uomo in dichiarazioni spontanee. 

“Ho sentito tante parole false. Non è vero che sono persona ricca, non è vero che sono una persona mafiosa. Non è vero che ho ammazzato una persona qua, una in Pakistan. Non è vero che sono andato a casa di Saqib (il fidanzato di Saman, ndr) a minacciare. Anche questo è falso, come quelli che dicono ‘ha ammazzato la figlia ed è scappato via’”, ha aggiunto, parlando in italiano.

Saman, diciottenne pakistana, è stata uccisa nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 a Novellara, dopo aver rifiutato un matrimonio combinato. Proprio ieri avrebbe compiuto 21 anni.

Secondo il padre della giovane, quello tra Saman e Saqib, il fidanzato della giovane, “non era amore, noi diciamo che non era una bella cosa. Tutti noi parenti eravamo arrabbiati”. L’uomo ha spiegato che in particolare ai familiari non piaceva il fatto che i giovani postassero le foto sui social.

“Saman era molto intelligente, forte, poi diceva anche bugie. Mia figlia ha detto bugie. Anche questo mi fa male”, ha detto Shabbar. “Signori giudici, i genitori mai pensano male per i figli, anche io non ho mai pensato il male per mia figlia. Sempre le volevo bene, sempre ho lavorato in campagna, sotto le serre, mai sono andato a rubare”.

Parlando del figlio – e fratello di Saman – grande accusatore dei cinque imputati davanti alla Corte di assise per l’omicidio della 18enne, Shabbar Abbas ha detto: “La sua lingua ha parlato, il suo cuore non ha parlato. Lui ha detto tutte le bugie, quelle dell’avvocato, dei servizi sociali, dei carabinieri, quelle che avete sentito tutti. Non ha detto la verità. E’ un ragazzo così”. 

“Io non sapevo perché mia figlia veniva portata via dai servizi sociali. Quando andavo dai carabinieri, mi dicevano Aspetti fuori. Vai a casa. Pensavo che fosse perché ero straniero, pachistano e che a loro non fregava niente. Quando tornavo a casa mia moglie lei mi diceva Cosa hanno detto, e io le dovevo dire delle bugie, le dicevo che la settimana dopo avremmo saputo. Lei piangeva, batteva la testa contro il muro”, ha raccontato Shabbar Abbas, in un passaggio delle sue dichiarazioni alla Corte di assise di Reggio Emilia.

“Signori giudici, questi servizi sociali non pensano ai minorenni, non li trattano bene. Questi escono, fumano. E’ un disastro. Rovinano la vita dei bambini”, ha aggiunto.  

“Vorrei capire anche io chi l’ha ammazzata, chi è venuto a prenderla quella sera. La vita mia adesso è sempre piangere, mia figlia non c’è più, è morta mia figlia”, dice ancora il padre di Saman, nelle lunghe dichiarazioni fatte tutte a braccio ai giudici di Reggio Emilia, in un italiano imperfetto ma seguendo il filo degli ultimi giorni di vita della figlia, in particolare il 29 e il 30 aprile 2021 e dei giorni successivi, quando con la moglie tornò in Pakistan. Il primo maggio avrebbe ricevuto, ha detto, un messaggio dal numero di Saman che gli diceva: “Sto bene, dopo ti chiamo”.

La sera del 30 aprile 2021, l’ultima della vita di Saman, la ragazza avrebbe detto al padre che doveva uscire perché un’amica sarebbe passata a prenderla. Lo ha raccontato Shabbar. “Pensai che veniva a prenderla Saqib, ne ero sicuro, oppure che avrebbe mandato qualcuno”. Shabbar e la moglie, allora, secondo il racconto dell’imputato, avrebbero cercato di convincere la figlia a non andare: “Non volevamo che andasse via nel cuore della notte”. “Lei non voleva stare, aveva già il programma di andare, si è cambiata i vestiti, ha preso lo zaino ed è andata fuori”, ha detto.

La moglie, ha ricostruito, sarebbe andata un po’ avanti, “c’era buio”, e Saman non voleva che i genitori vedessero chi doveva passare a prenderla. “Mio figlio dice che ha visto le facce” dello zio Danish e dei cugini: “Non lo so. Lui era dentro la sua camera, guardava il suo cellulare. E’ falso che era sulla porta”. Poi, “quando sono uscito la seconda volta, sono arrivato fino alle serre, non ho visto niente. Saman non c’era. Sono tornato dentro e ho pensato questa volta è andata via. Hanno detto: piangevano. E’ vero: non era una cosa normale”. 

Si attende per il pomeriggio la sentenza del processo. Per omicidio e soppressione di cadavere sono imputati davanti alla Corte di assise di Reggio Emilia cinque familiari della vittima: il padre Shabbar Abbas, lo zio Danish Hasnain, i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, tutti detenuti e presenti e la madre Nazia Shaheen, latitante in Pakistan.

Dopo un’ora e quaranta minuti il padre di Saman ha concluso le sue dichiarazioni spontanee. L’imputato ha parlato sempre in italiano e solo in un tratto ha ceduto alle lacrime, parlando della figlia che sostiene di non aver ucciso. La Corte allora si è ritirata in Camera di consiglio per la sentenza.

La Procura reggiana aveva chiesto condanne all’ergastolo per i genitori, 30 anni per gli altri.