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Scacco matto: la guerra fredda sulla scacchiera, per “l’incontro del secolo”

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Scacco matto: quando la guerra fredda si rifletteva sulla scacchiera. Il dissidio muro contro muro tra due ambiti ideologici e politici, tra Usa e Urss, portava alla necessità di prevalere, in ogni ambito.

Boris Spasskij contro Bobby Fischer: scacchisti in tv

Era il lontano 1972, quando si disputò un campionato del mondo di scacchi destinato a passare alla storia. I due scacchisti avrebbero dovuto giocare 24 partite in tutto, per conquistare il titolo di campione del mondo. Il detentore del titolo Boris Spasskij incontrò lo sfidante Bobby Fischer. Quest’ultimo vinse infine l’incontro per 12,5 a 8,5: gli Stati uniti erano stati in grado di prevalere. La sfida si disputò a Reykjavík, in Islanda, tra l’11 luglio e il 3 settembre. Fischer e Spasskij si erano incontrati poche volte e Fischer non aveva mai sconfitto Spasskij: si pensava che pareggiassero, incontro dopo incontro, in una sfida veloce e consequenziale. Così non fu, il corso delle cose si svolse inesorabile.
Per la prima volta un match di scacchi fu trasmesso in televisione: non si trattava di dilettarsi, ma di riprodurre, sulla scacchiera, la situazione politica del tempo: era sul tavolo, come detto, la contrapposizione delle due superpotenze, con il suo esito. Fbi e Kgb controllavano l’evolvere del gioco. Un dispiegarsi di forze del tutto alternative nella sfera politica, ideologica e militare: sarebbe stato bello, risolverla una volta per tutte non ponendo in campo gli armamenti, ma sfidandosi civilmente con mosse e contromosse, a tavolino.

Scacco matto: un inizio

Nella prima partita, lo statunitense Fischer (personaggio tormentato, eccentrico, mentre Spasskij era riservato e litigioso) non giocò bene: trovandosi in una posizione molto vantaggiosa, ma non ancora decisiva, commise un errore. Attuò una presa del pedone di torre con un alfiere, che rimase intrappolato.

Scacco matto: la sesta partita

Nella sesta parita, Fischer aprì con il pedone d’alfiere invece che con quello di re: una sorpresa per Spassky e una partita lenta e posizionale, che bloccò i movimenti dell’avversario, spinto in aree senza gioco.

Scacco matto: la ventunesima partita

Il ventunesimo incontro fu l’ultimo: vinse lo stile di gioco inusuale, spregiudicato e non convenzionale dell’americano, che una partita dopo l’altra passò in vantaggio e poi continuò a prevalere, mossa dopo mossa. Nel finale, si vide Spasskij giocare con poca maestria: stava per abbandonare. La partita fu sospesa con Fischer in grande vantaggio. La busta contenente l’ultima mossa non fu mai aperta. Il grande match finì così, con l’abbandono di Spasskij comunicato per telefono al giudice dell’incontro: uno scacco matto che non ci fu mai. Fischer non accettò questo metodo e polemizzò con l’avversario, ma infine si convinse: le regole lo permettevano.

Scacchi e Globalizzazione

Che dire oggi, in clima di Globalizzazione? La scacchiera è ancora utile per risolvere pacificamente le problematiche? Tra Ue, Onu, Nato e altri organismi internazionali, la calma è soltanto apparente. Parliamo di un gioco che può avere potenzialità che prescindono dal semplice svago. Negli scacchi, sedici pezzi si fronteggiano su fronti opposti: è la maniera di affinare la strategia, definire i passaggi del proprio ragionamento. Ragionamento che, poi, si può traslare nella politica, nella logica degli schieramenti militari, nel vivere sociale: in qualsiasi caso nel quale sia importante definire un mezzo per un fine, grazie alla speculazione e al lucido discernimento. Nel 1972, attraverso i pezzi, in molti vedevano trasparire l’onore della propria nazione e del proprio blocco politico a livello internazionale: può avvenire di nuovo, per dispiegare un gioco che non è un gioco.

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Redazione Nazionale

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