Totti, i fantasmi e Ibra: “L’ultimo anno alla Roma non lo auguro al peggior nemico”

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“L’ultimo mio anno non lo auguro al mio peggior nemico. Fu pesantissimo a livello mentale. Perché quando dopo una vita in campo non giochi con continuità, soprattutto a una certa età, il fisico non lo stai facendo riposare, lo stai facendo arrugginire. Quando ti abitui solo a subentrare, piano piano perdi il ritmo partita. Tu lo sai di essere più bravo degli altri ma se il fisico non “resta in partita” diventa dura”, così Francesco Totti.

L’ex capitano della Roma si è rimesso a nudo in una intervista esclusiva rilasciata alla Gazzetta dello Sport.

Lo spunto è stato dato dal periodo che sta attraversando un altro monumento del calcio che sta cercando di allontanare il momento di attaccare le scarpette al chiodo, amico dell’ottavo re di Roma, del quale è stato pure vicino a essere compagno di squadra. Così come Zlatan Ibrahimovic, aveva 40 anni anche Totti il 28 maggio 2017, quando il fuoriclasse romano disse addio al calcio giocato.

“Ibra? Nessuno può capirlo più di me… – dice – Sono passati 5 anni ma le sensazioni me le ricordo tutte e guardando Ibra nell’ultimo periodo le rivivo. Anche se la mia situazione era un po’ diversa dalla sua. Io non avevo avuto particolari infortuni. Sentivo di poter ancora dare il mio contributo, ma fui messo subito da parte e se giochi tre minuti o cinque o dieci una volta ogni tanto diventa uno stillicidio. L’ultimo mio anno non lo auguro al mio peggior nemico. Fu pesantissimo a livello mentale. Perché quando dopo una vita in campo non giochi con continuità, soprattutto a una certa età, il fisico non lo stai facendo riposare, lo stai facendo arrugginire. Quando ti abitui solo a subentrare, piano piano perdi il ritmo partita. Tu lo sai di essere più bravo degli altri ma se il fisico non “resta in partita” diventa dura. Zlatan in questo momento gioca poco e mi immagino le sue difficoltà anche perché il suo corpo è una macchina impegnativa. Però rispetto a me ha una fortuna…”.

“Da quel che mi sembra dall’esterno la sua voglia di stare in campo è forte come quella del Milan di averlo ancora a disposizione – osserva – Il problema non è il tecnico o la società, sono il numero di minuti di gioco e cosa comportano per lui fisicamente nei giorni successivi, quando devi recuperare e subentrano fastidi che prima non avevi mai avuto. Io da amante del calcio spero che Ibra possa continuare.  Ibra è stato amatissimo dai suoi tifosi e ha fatto disperare (il termine è più colorito, ndr) quelli avversari. Ma il giorno che dovesse dire basta, il dispiacere sarebbe di tutti. Un po’ come è successo con me”.

“Uno come Ibra, per l’immagine e l’impatto che ha, credo lo vorrebbero tutte le società – conclude, riferendosi a quel che potrebbe attendere il campione svedese fuori dal campo – Ma bisogna stare attenti a non diventare un poster o una bandiera da sventolare solo quando serve. Io sono passato da un addio lacerante a fare subito il dirigente della Roma: un percorso che a tutti sembrava naturale e scontato, ma i ruoli non erano chiari. Lì per lì all’inizio ti senti in balia di tutto. Io ho cercato di calarmi in un nuovo ruolo con umiltà: non ho mai preteso di sapere di finanza, marketing, contratti, organizzazione come altri dirigenti esperti nella gestione aziendale, ma se parliamo di calcio, di giocatori, di tecnici, penso di saperne abbastanza per essere ascoltato… La sinergia tra uomini di campo e uomini d’azienda non è sempre facile. Ecco perché a Ibra ricordo, quando verrà il giorno, di fare quelle due domande”.

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Redazione Nazionale

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