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Tragedia al Pagliarelli, suicida poliziotto penitenziario: Massimo Vespia: “In carcere troppo stress”

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Aveva 56 anni, era un assistente capo coordinatore del Corpo di polizia penitenziaria presso il carcere Pagliarelli di Palermo e ieri (13 Aprile) si è tolto la vita nella sua campagna di Sambuca di Sicilia. Ancora da precisare le cause reali che hanno portato l’uomo a compiere il gesto, ma il dato è allarmante, come si legge nelle dichiarazioni di Donato Capece, Segretario del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria: “È una notizia agghiacciante, che sconvolge tutti noi: dall’inizio dell’anno è il terzo suicidio che contiamo nelle fila del Corpo di polizia penitenziaria, uno dei quattro Corpi di polizia dello Stato italiano”. E aggiunge in oltre: “sui temi del benessere lavorativo dei poliziotti penitenziari l’Amministrazione penitenziaria e il ministero della Giustizia sono in colpevole ritardo”. A queste si aggiungono anche le parole del Segretario generale della Fns Cisl, la Federazione Nazionale della Sicurezza Cisl, Massimo Vespia, il quale, tramite un comunicato afferma: “Questo gesto estremo ci lascia senza parole, ci stringiamo con profondo cordoglio ai familiari, agli amici ed ai colleghi e partecipiamo al loro dolore. Questo ennesimo suicidio, per la CISL FNS e per la Fns Sicilia, deve fare riflettere sulle condizioni di vita lavorativa in cui oggi è costretto a ad operare il personale penitenziario, in vere e proprie ‘patrie galere’, diventate luoghi di lavoro invivibili e causa di stress psicofisico non indifferente”.

Quello del benessere lavorativo degli agenti della polizia penitenziaria, e più in generale di tutti coloro i quali svolgono lavori ad alto rischio di stress è un tema che deve essere assolutamente di primo piano nelle discussioni politiche e sociali del paese, specie in un periodo come quello che stiamo affrontando. A Novembre del 2020 Amnesty International aveva espresso la sua preoccupazione in merito alla situazione delle carceri italiane, le quali, già sovraffollate e invivibili da prima, con la pandemia si sono ritrovate ad esporre ancor di più tutte quelle difficoltà che già erano presenti. I dati sui contagi da covid-19 e le proteste scaturite nelle carceri però non sono stati sufficienti ad attirare sufficiente attenzione sui problemi che esistono tutt’ora nelle strutture carcerarie italiane e tra loro dipendenti, “carcerati” a lavoro e successivamente, a fine turno, anche a casa.

Per una cifra di poco inferiore ai 1500 Euro al mese, un agente della polizia penitenziaria si espone ogni giorno ad un rischio psicologico enorme, passando la sua giornata in mezzo a detenuti in libera circolazione. Ad aggravare la situazione c’è il preoccupante dato di Insieme – carcere e salute mentale secondo il quale 3 detenuti su 4 in Italia soffrono di disturbi mentali, tra depressione, disturbi psicotici, disturbi della personalità e disturbi post-traumatici da stress.

Esposto ogni giorno a quanto scritto sopra, il poliziotto penitenziario è certamente un lavoratore ad estremo rischio burnout. Il burnout è un fenomeno che la moderna psicologia del lavoro definisce come una sorta di esaurimento nervoso, ed emotivo. Generalmente è dovuto ad un accumulo di stress e pressione emotiva in lavoratori definiti “helper”, ovvero lavoratori a diretto contatto con un pubblico o un utenza. Il burnout causa depersonalizzazione e deteriora impegno ed emozioni in colui che ne soffre, il quale purtroppo, spesso non si rende nemmeno ben conto di cosa gli stia capitando.

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Luca Tulumello

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