« Torna indietro

No ai papà in sala parto (ma il Covid non c’entra): la rivolta delle mamme di Puglia

Pubblicato il 6 Luglio, 2020

La rivolta delle (future) mamme.  Dal Salento  alla Capitanata, dalla Murgia al mare, le gestanti  di Puglia si ribellano alla maternità solitaria imposta dalle normative anti-Covid. Firmano petizioni, scrivono al governatore Emiliano, ai sindaci, ai primari. Vogliono i papà in sala parto. “Dal momento che le feste patronali e le sagre si faranno, i pullman possono riempirsi, gli stadi di calcio avranno i loro tifosi… Possiamo fare velocemente un decreto che faccia ritornare i papà in sala parto in Puglia?”, scrive una di loro sulla pagina Facebook del presidente della Regione.  La risposta è repentina e illuminante: “La regione ha sollevato da tempo tutte le disposizioni che impedivano gli accessi nel periodo di maggiore cautela. Le singole strutture si possono organizzare in sicurezza per farlo. Fate la richiesta al primario del reparto”, scrive infatti Emiliano, scoperchiando di fatto una situazione già nota da tempo. A impedire l’accesso dei papà nelle sale parto pugliesi sono i direttori dei reparti, in quanto non vi sono allo stato in Puglia norme che impediscano alla maternità di essere vissuta in pienezza.

RiNascere al naturale

Anche su questo, però, qualche dubbio c’è ancora. “Ci giungono testimonianze di mamme alle quali è stato detto pochi giorni fa che esiste un’ordinanza regionale recentissima che impedisce l’accesso di altre persone in ospedale, tanto per il travaglio quanto per il parto”, ci spiega Denise Montinaro, presidente dell’associazione RiNascere al Naturale. “Purtroppo non disponiamo di dati certi, ogni ospedale ha le sue regole e le sole informazioni che abbiamo arrivano attraverso testimonianze di mamme”, continua. Ipotizzando che un simile caos potrebbe essere almeno tamponato attraverso una campagna di comunicazione delle Asl che “pubblichino nei loro siti ufficiali le normative previste ospedale per ospedale, in modo che ogni donna possa capire a cosa va incontro e magari fare scelte che la facciano sentire più tranquilla”, spiega.

Un momento molto delicato

Non vi è chi non sappia, infatti, alla luce di studi, ricerche ed esperienze, che la maternità non è una condizione che possa essere vissuta in solitudine: “E’ un momento molto delicato nella vita di una donna. Ci sono variazioni ormonali e modificazioni emotive che richiedono la presenza del proprio compagno. Sappiamo che in alcuni ospedali ne permettono l’ingresso solo in fase espulsiva, ma riteniamo che sia un’assurdità: fare entrare un papà solamente nella parte finale del travaglio disturba un processo delicato, che richiede continuità”, spiega Montinaro.

La protesta social

Quanto alla emergenza Covid, sotto la cui egida vengono oggi legittimate queste separazioni familiari, ci si chiede come mai in tanti ospedali occorra attendere l’esito del tampone effettuato sulla mamma prima di consentire l’accesso al papà, che con quella donna – nella maggior parte dei casi – condivide casa, letto e vita. E infatti le proteste, sulla pagina social del governatore, fioccano: “Abbiamo trascorso una gravidanza in quarantena, disposizioni molto faticose per una donna in gravidanza. Procedure del parto velocizzate ed ora che tutto si sta normalizzando e siamo ormai in prossimità della nascita, dovremmo far pressione ai primari dei reparti?!  Abbiamo energia da vendere ma un sostegno ed una disposizione dai piani alti aiuterebbe a farci sentire più tranquille e sicure nella tutela dei nostri bambini”, scrive una battagliera gestante. “Ma se dall’alto non si può fare altro e i primari, così come le direzioni dell’ASL, ignorano la nostra richiesta e i solleciti da varie settimane, che si fa? Ci rassegniamo a danno della salute di donne e neonati (perché ricordiamo che di salute si tratta, e non di capriccio)?”, incalza un’altra futura mamma.

Le reazioni su Facebook

E si va avanti così. “A sentire i racconti delle donne che vanno a partorire sembra peggiorare la situazione invece che migliorare. Confermo anch’io”, interviene Daiana. “Una donna che partorisce un figlio non é una persona ricoverata per altro. Parliamo di diade che non deve essere divisa solo perche manca il referto del tampone. Vogliamo poi parlare anche dei padri traumatizzati Michele Emiliano?”, continua, citando poi le raccomandazioni dell’Istituto Superiore di Sanità, secondo le quali “le donne hanno il diritto di essere accompagnate dal padre o una persona di fiducia” e “ i neonati non vanno separati dalle madri nelle prime ore soprattutto”, raccomandazioni emanate peraltro con riferimento “a donne positive a Covid”, conclude.

La mancanza di personale

“Ci piacerebbe leggere che la nostra Regione Puglia promuove la cultura della buona nascita, oltre a quella cinematografica o alla tutela ambientale”,  auspica quindi Esterina Marino, anche lei parte dell’associazione RiNascere al Naturale, della quale è vicepresidente. “Ci piacerebbe leggere belle testimonianze delle eccellenze della sanità pugliese nei reparti maternità, oltre, ad esempio, a quelle del Centro Antiveleni. Ma purtroppo, ad oggi, non è così”, continua. “Le donne ci raccontano di padri che non possono sostenerle durante il travaglio,  non possono entrare in sala parto, non possono stare in ospedale con loro più di 1 ora al giorno. E se da un lato c’è l’intenzione legittima di tutelare donna, neonato e operatori tutti, dall’altro non capiamo come mai non ci sia stato un potenziamento degli operatori nei reparti maternità, per compensare la mancanza di una persona di supporto. Non capiamo come mai le donne, a poche ore dal parto, vengano “sgridate” quando si alzano in autonomia per prendere dell’acqua alle macchinette, solo perché hanno sete e non c’è nessuno a cui chiederla. O del perché vengano lasciate senza mangiare quando il travaglio si prolunga oltre l’orario previsto per i pasti (sappiamo quanto i neonati, da buoni mammiferi, adorino nascere soprattutto nel silenzio della notte e quanto presto si mangi negli ospedali!)”, conclude.

La lettera aperta alle Asl

“Come rappresentanti di un’associazione che si batte per i diritti di donne e neonati”, Esterina e Denise si sono fatte portavoce di un gruppo di mamme leccesi prossime al parto, promuovendo una lettera aperta destinata ad Asl e ospedali nella quale esse pretendono “di venire informate e rassicurate sulle procedure assistenziali adottate“. La lettera porta oggi in calce le firme di future mamme, ma anche di mamme ormai lontane dal parto, professionisti, ostetriche, associazioni sparse sul territorio nazionale. “Continueremo a chiedere chiarezza ai primari dei reparti”, avvertono. Mentre dal governatore Emiliano attendono parole che pongano fine al caos di questi mesi, in quanto “rappresentante dei nuovi cittadini e delle loro madri”. Perché si sa, e noi ci crediamo davvero, “la mano che dondola la culla è la mano che regge il mondo”.

About Post Author