Pubblicato il 16 Giugno 2021
Quello delle previsioni e delle conseguenze dei cambiamenti climatici è ormai un argomento cruciale non solo per scienziati e meteorologi, ma coinvolge da vicino ed interessa direttamente anche il pubblico dei non addetti ai lavori, che ne avverte come tutti noi gli effetti quotidianamente.
Uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISAC), e dal Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture (DIATI) del Politecnico di Torino dal titolo “Future climate change shaped by inter-model differences in Atlantic Meridional Overturning Circulation response” ha messo a confronto le previsioni fornite da 30 modelli climatici di ultima generazione che includono nel loro codice numerico tutto ciò che si sa riguardo al sistema climatico.
Le previsioni fatte da questi modelli, che verranno incluse nel prossimo report IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change), dimostrano che le incertezze nella previsione dei cambiamenti climatici in Europa dipendono fortemente dalla risposta all’incremento dei gas serra antropici delle correnti oceaniche nel Nord Atlantico.
I ricercatori hanno trovato che tra questi 30 modelli c’è grande incertezza su quanto diminuirà la velocità delle correnti oceaniche nel Nord Atlantico: la stima va da un minimo di circa il 18% rispetto alla media del periodo pre-industriale, fino ad un declino molto più drastico, di circa il 74%. Inoltre i ricercatori hanno trovato che le variazioni climatiche future sull’Europa dipendono fortemente da quanto queste correnti si indeboliranno.
“Nei modelli in cui la diminuzione delle correnti del Nord Atlantico è minore, il riscaldamento in Europa è maggiore. Ciò comporta anche un aumento maggiore delle piogge sul Nord Europa. Invece, nei modelli in cui le correnti del Nord Atlantico diminuiscono maggiormente, la temperatura e le piogge aumentano di meno, ma la corrente a getto si sposta verso nord modificando così il percorso tipico delle perturbazioni cicloniche durante l’inverno sull’Europa”, spiega Katinka Bellomo, responsabile dello studio presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture del Politecnico da questo giugno, proveniente dall’Istituto di Scienze dell’Atmosfera del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISAC).
In passato si era già dimostrato che una riduzione della velocità delle correnti nel Nord Atlantico porta a una riduzione del riscaldamento globale e una variazione nelle piogge. Tuttavia, la novità presentata in questo studio è che l’incertezza nelle previsioni di temperatura e pioggia in questi modelli deriva in gran parte dalle correnti nel Nord Atlantico. Il motivo principale delle incertezze sulle previsioni climatiche è dovuto alla rappresentazione semplificata, che varia da modello a modello, dei complessi fenomeni fisico-chimici del sistema Terra, ma non si sa con precisione quali di questi fenomeni sia il responsabile. Il team ha dimostrato che la maggior parte delle discordanze nel predire il cambiamento climatico sull’Europa è collegato alle correnti oceaniche nel Nord Atlantico.
“Questo significa che se fossimo in grado di dire con precisione come le correnti oceaniche cambiano quando sono forzate dalle emissioni di gas serra, allora potremmo drasticamente ridurre l’incertezza nelle previsioni climatiche per l’Europa. Grazie alle campagne di osservazioni che vengono svolte attualmente nel Nord Atlantico, ora siamo in grado di capire meglio la dinamica degli oceani. Quindi è importante continuare in questa direzione visto che sembra molto plausibile che a breve saremo in grado di produrre modelli molto più precisi” aggiunge la ricercatrice.
“Questo lavoro fornisce inoltre informazioni importanti sui possibili cambiamenti nella circolazione atmosferica e su impatti climatici in Europa a seguito dell’attraversamento di un “tipping point” nella circolazione oceanica Atlantica. Si tratta di un argomento di grande attualità, che il nostro gruppo sta investigando attraverso lo sviluppo di modelli numerici”, nota Jost von Hardenberg, coautore dello studio e docente al Politecnico di Torino.
La ricerca – a cui hanno partecipato anche Susanna Corti del CNR-ISAC e Michela Angeloni del dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna e CNR-ISAC – è stata finanziata dalla Commissione Europea nell’ambito dei progetti Horizon 2020 TiPES e CRESCENDO al CNR-ISAC, ed è stata appena pubblicata su Nature Communications.
Ascolta il podcast (in inglese)
Leggi anche: TORINO, ALTI LIVELLI DI OZONO: NO ATTIVITÀ ALL’APERTO PER BAMBINI E ANZIANI