Pubblicato il 30 Gennaio 2023
Si chiama Green Deal e si tratta di una delle sfide più importanti e ambiziose che l’Europa abbia lanciato: diminuire, man mano fino ad azzerare, le emissioni dannose è diventato prioritario. La posta in gioco e altissima e va dalla tutela ambientale a quella della stessa salute pubblica, senza considerare la crisi energetica che ci costringe, sempre di più, a valutare le fonti alternative come la solare o la eolica, sempre disponibili se si verificano le condizioni ideali, gratuite e soprattutto sane. In tutto questo, un passaggio fondamentale è quello che porterà all’uso esclusivo delle auto elettriche.
I numeri della e-mobility
Per comprendere appieno cos’è la mobilità elettrica occorre innanzitutto ricordare che le emissioni di CO2 provocate dai trasporti, in Italia e in Europa, sono di circa il 25%, quindi ben un quarto di tutte quelle conosciute, ivi comprese quelle industriali. Significa che è una fetta non indifferente che va contrastata proprio con la e-mobility, rappresentata dalle auto ibride ed elettriche. Ciò coinvolge non solo i mezzi privati, ma anche quelli pubblici, anche se la transizione, che dovrebbe concludersi con il 2035 e il termine di produzione per le vetture a gasolio, non è tutta in discesa.
Occorre fare i conti con le tecnologie che devono risultare sempre più performanti e consentire così alle auto di avere batterie durevoli e potenti; ma anche con le colonnine di ricarica che sono indispensabili per rifornirle di energia. Se allo stato attuale una macchina ibrida può avvalersi della ricarica data da decelerazione e frenata, nelle plug-in ciò già non è più valido e occorre ricaricare la batteria. Senza contare i mezzi esclusivamente elettrici.
E se questi ultimi sono anche aumentati, le colonnine non sono sufficienti: solo in Italia, ad esempio, ne sono presenti circa 30 mila per una ricarica in corrente alternata e solo 4 mila per la corrente continua. In Europa, dalle attuali 2 mila colonnine costruite settimanalmente, si dovrà passare almeno a 7 volte tanto, per stare al passo con le nuove auto in costruzione.
Le colonnine di ricarica
Una colonnina di ricarica può essere pubblica o privata. Nel primo caso, occorre sottoscrivere un abbonamento così da rifornirsi a tutte quelle necessarie durante tutto l’anno, magari avendo cura di scaricare app e software in grado di individuare sempre la più vicina; nel secondo caso, invece, previ permessi comunali si possono costruire colonnine all’interno di un’area aziendale, nei pressi di un centro commerciale o persino di un condominio o di case plurifamiliari.
Come già accennato, le colonnine possono erogare due tipologie di corrente: l’alternata è quella cosiddetta di ricarica lenta, ovvero che necessita di lasciare il veicolo collegato per almeno 8 ore (magari quelle notturne); la continua, ancora poco diffusa, è quella che permette di arrivare all’80% della capacità di ricarica del motore in soli 30 minuti.
Naturalmente tutto dipende dal tipo di veicolo, di potenza e di necessità di cui si ha bisogno, per questo occorre sempre riferirsi alle indicazioni del proprio mezzo prima di collegarlo alla colonnina corrispondente: alcune auto sono state concepite per la ricarica veloce, altre no e i cavi sono anche diversi fra loro. Occorre perciò prestare attenzione per non sbagliare, rischiando di danneggiare la batteria.
Attualmente, un motore elettrico è in grado di percorrere in media circa 300 chilometri con una singola ricarica completa, ma dipende molto anche dal modo in cui si conduce l’auto, dal traffico che si incontra e dalla tipologia di veicolo. Di certo, implementare le colonnine di ricarica significa poter far fronte al nuovo mercato delle auto, che fra poco più di 10 anni non renderà più disponibili i veicoli a gasolio, ma anche rispettare l’ambiente e risparmiare a livello di consumi.