Il giorno che Berlusconi si “liberò”, alla sua maniera, del più bravo giornalista italiano

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Enzo Biagi lo conoscevo. Già nel 2000 lo avevo intervistato per un giornale siciliano. Ci siamo telefonati delle volte, per me era un semidio del giornalismo ma, anche umanamente mi piaceva molto. Il 18 aprile del 2002 (solo 20 anni fa anche se sembra sia passato un secolo) l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, da Sofia, (ecco perché la faccenda fu definita dal giornalista de l’Unità Simone Collini editto bulgaro) fece una dichiarazione dove più o meno diceva che vi era in Italia un “uso fazioso e criminoso” della Tv pubblica e indicò Enzo Biagi, Michele Santoro e il comico Daniele Luttazzi colpevoli, secondo lui, di usare la tv di Stato a proprio piacimento e fuori dalle regole del giornalismo imparziale. Poi, il Cavaliere, chiese esplicitamente che la dirigenza Rai dovesse impedire situazioni del genere.

Biagi, conduceva una striscia di 5 minuti quotidiana molto seguita “Il Fatto” e, la sera stessa della dichiarazione di Berlusconi, durante la sua trasmissione disse:

«Il presidente del Consiglio non trova niente di meglio che segnalare tre biechi individui: Santoro, Luttazzi e il sottoscritto. Quale sarebbe il reato? […] Poi il presidente Berlusconi, siccome non intravede nei tre biechi personaggi pentimento e redenzione, lascerebbe intendere che dovrebbero togliere il disturbo. Signor presidente, dia disposizioni di procedere perché la mia età e il senso di rispetto che ho verso me stesso mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri […]. Sono ancora convinto che perfino in questa azienda (che come giustamente ricorda è di tutti, e quindi vorrà sentire tutte le opinioni) ci sia ancora spazio per la libertà di stampa; sta scritto – dia un’occhiata – nella Costituzione. Lavoro qui in Rai dal 1961, ed è la prima volta che un Presidente del Consiglio decide il palinsesto […]. Cari telespettatori, questa potrebbe essere l’ultima puntata del Fatto. Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. Eventualmente è meglio essere cacciati per aver detto qualche verità, che restare a prezzo di certi patteggiamenti».

Seguì un penoso tira e molla tra la dirigenza Rai e il giornalista partigiano, nel senso vero del termine (aveva fatto parte della Resistenza) che si concluse il 31 dicembre del 2002 che porterà all’uscita dalla Rai e alla risoluzione del contratto dopo 41 anni di lavoro.

Berlusconi poi dichiarerà, nei tempi che seguirono, che la sua volontà non era di “far uscire o impedire la permanenza nella televisione pubblica a nessuno” ma Bice Biagi, figlia del giornalista, gli rispose a stretto giro che “L’editto bulgaro c’era stato e che c’è qualcuno che ogni tanto ha delle botte di amnesia, mentre mio padre è stato lucido fino alla fine”.

Quando Enzo Biagi morì, nel 2007, aveva appuntata sulla giacca il distintivo dei partigiani di “Giustizia e Libertà”; quando capì che la vita gli stava per sfuggire, con un filo di voce, aveva detto alle figlie Bice e Carla: “Come farò senza di voi”. Ecco, questo era l’uomo.

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Gennaro Giacobbe

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