Se n’è andato in modo inconsueto dieci anni fa, firmando un’uscita di scena inaspettata e, se non fosse per essere stata drammatica e commovente, diremmo geniale come tutti i suoi film. Mario Monicelli, il regista principe della commedia all’italiana, l’uomo che firmò capolavori – con grandi attori, molti dei quali amici, come Alberto Sordi, Totò, Ugo Tognazzi, Philippe Noiret – come “Amici miei”, “Il marchese del Grillo”, “Un borghese piccolo piccolo”, “Guardie e ladri” nel dopoguerra, e tanti altri.
Leone d’Oro alla carriera a Venezia, fu nominato 6 volte per vincere l’Oscar, ma non ci riuscì. Poco male per quel suo carattere ironico, da romano vero, scanzonato benché severo, e per quella personalità così profondamente intellettuale e politica. Era socialista e ci teneva a farlo sapere, anche perché il padre, giornalista e critico, fu sempre emarginato dal regime fascista, finendone poi vittima a fine guerra. Si suicidò, il padre.
E così fece lui, a 95 anni, nell’Ospedale San Giovanni dell’Addolorata dove era ricoverato per un cancro alla prostata. Non poteva sopportare la lentezza di quella sua fine e così decise di gettarsi dalla finestra per porre fine ai suoi giorni, che in realtà erano già finiti.
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