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Omicidio di Copertino, torna in carcere il presunto killer

Pubblicato il 14 Dicembre, 2021

Ancora una svolta sull’omicidio di Copertino, il caso dell’assassinio di Silvano Nestola, ex maresciallo in Congedo, ucciso la sera dello scorso 3 maggio con quattro colpi di fucile, appena uscito da casa della sorella, mano nella mano con il figlio di 11 anni. Dopo un breve periodo in cui era tornato in libertà, era tornato in carcere il presunto assassino, Michele Aportone, il 70enne di San Donaci, padre della compagna della vittima, accusato di aver ucciso Nestola. Il Tribunale del Riesame, il Presidente Carlo Cazzella, ha rigettato, infatti, il ricorso discusso dall’avvocata Francesca Conte, legale della difesa, dopo che lo stesso Tribunale aveva annullato la misura in carcere per un copia incolla tra l’ordinanza e la richiesta avanzata dai pubblici ministeri Paola Guglielmi e Alberto Santacatterina. Subito dopo l’annullamento della misura, lo stesso gip aveva emesso una seconda ordinanza e Aportone era nuovamente finito in carcere.

Nella giornata di oggi, martedì 14 dicembre, infatti, si sarebbe discusso nel merito della questione. La difesa ha evidenziato come non ci fosse la prova diretta dell’omicidio e che l’accusa fosse sostenuta solo da semplici ipotesi. Altro punto su cui sta facendo leva la difesa si fonda sul principio del bis idem, secondo il quale un indagato non può essere raggiunto da due ordinanze consecutive se non vengono raccolti nuovi elementi d’accusa. Secondo le indagini condotte dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Lecce, Aportone, il presunto killer, avrebbe ammazzato il carabiniere perché non tollerava la relazione che la figlia aveva allacciato con il militare.

Secondo la difesa, invece, il 70enne, insieme alla moglie, accusata a sua volta di complicità nell’omicidio ed indagata a piede libero, avrebbero agito solo perché preoccupati dalle condizioni di salute mentale della figlia, già messe a repentaglio seriamente in passato. Ed è per questo, secondo la difesa, che i due avrebbero deciso di piazzare un GPS nell’auto della figlia. Una vera e propria ossessione che per l’accusa è la prova dell’omicidio, mentre per la difesa rappresenta solo il tentativo di tutelare la figlia.

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