Il caso di malpractice medica è accaduto nel 2015 nel presidio ospedaliero di Chiari. Durante il parto il bambino rimase per lungo tempo senza ossigeno: cosa che gli provocò una paralisi celebrale.
Tre anni più tardi l’Asst sottoscrisse con i genitori del minore un atto di transazione del sinistro, approvato da Giudice Tutelare, dove si impegnava l’azienda a corrispondere 1 milione e mezzo di euro alla famiglia (che nel frattempo ritirò la querela nei confronti dei due sanitari).
Dopo la liquidazione del risarcimento partì la segnalazione dell’azienda alla Corte dei Conti.
Quest’ultima citò in giudizio la ginecologa e l’ostetrica di turno.
Dopo svariate perizie, la sentenza: la sezione giurisdizionale ha deciso per l’assoluzione della ginecologa e la condanna dell’ostetrica.
La ginecologa di guardia decideva così di praticare l’amnioinfusione – la somministrazione di soluzione salina per ridurre le decelerazioni variabili ripetitive – riportando così i parametri alla normalità.
Col ritorno ad una situazione rassicurante non era più necessaria la presenza costante del medico in quanto il monitoraggio del travaglio era un compito dell’ostetrica.
Tutte le perizie poi concordano sul fatto che a partire dalle 22:23 il tracciato del battito cardiaco presentava di nuovo caratteristiche preoccupanti.
“È quindi evidente – continuano i giudici – che l’ostetrica, errando in modo macroscopico nella lettura del tracciato ctg definito chiaro da tutti i consulenti, non si è accorta del peggioramento delle condizioni del feto e ha omesso di avvertire la ginecologa, come previsto dal protocollo e dalle normativa sanitaria”.
Il non essersi accorta, o comunque, l’aver sottovalutato il peggioramento della situazione e di conseguenza la mancata richiesta di intervento della ginecologa “costituiscono indubbiamente omissioni gravemente colpose dalle quali è derivato il danno permanente al nascituro”.
Ma solo a quell’ora l’ostetrica ha richiesto l’intervento, senza urgenza, della ginecologa.
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