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Treviso, il Vescovo Tomasi alla Messa per la Giornata del Malato: «Grazie a quanti si prendono cura degli altri, della loro salute, della loro vita»

Pubblicato il 11 Febbraio, 2022

La preghiera a Maria di fonte all’immagine della “Madonna granda”: “Madre di ogni consolazione, ti affidiamo ogni nostra lacrima e ogni nostro dolore, ogni dubbio ed ogni fatica, ogni fallimento, ogni difficoltà”.

11.2.2022 – Parlano di gioia le letture proposte dalla liturgia oggi, nella giornata mondiale del malato – festa della Madonna di Lourdes -. “Ma possiamo davvero parlare di «gioia» di fronte alla sofferenza, al peso della malattia, alla fatica di vivere che essa comporta?” si è chiesto il vescovo Michele Tomasi nell’omelia della messa, da lui presieduta nella basilica di Santa Maria Maggiore (la “Madonna granda” dei trevigiani).

Sembra davvero fuori luogo parlare di gioia “nelle condizioni del nostro tempo, in cui alla fatica dell’essere ammalati si assommano tutti i disagi, le difficoltà e le incertezze di questo tempo di pandemia, che mette tutti sotto pressione, ma in modo particolare chi abbia problemi di salute, che continuano ad essere molti, spesso molto gravi – ha sottolineato il Vescovo -. Eppure, è proprio in queste condizioni, eppure è proprio chi più soffre e vive condizioni di disagio che sente che nel profondo di sé quella promessa di felicità sta sussurrando una parola di speranza. Eppure, sono i momenti ordinari delle nostre vite che chiedono di essere vissuti come luoghi di incontro vero, di incontro straordinario con la pace e la serenità cui da sempre aspiriamo”. E questo è possibile soprattutto grazie alla presenza di “persone amiche e pazienti”, con l’aiuto delle quali si riesce “ad affrontare molto di quanto la vita ti chiede (talvolta anche drammi di un dolore indicibile). Scopri che è possibile un amore che affianca, accompagna, sostiene, pian piano aiuta a guarire” ha ricordato il Vescovo, citando la sua ultima lettera pastorale, nella quale condivide alcune riflessioni sulla sofferenza, sulla vicinanza e la cura, scaturite anche dalla propria personale esperienza in seguito all’infortunio della scorsa estate.

Ed ecco, allora, il grazie a “quanti si prendono cura degli altri, della loro salute, della loro vita: i medici, gli infermieri e tutti i professionisti sanitari e sociosanitari che operano nelle strutture, così come i medici di medicina generale, i pediatri, gli operatori dell’assistenza domiciliare, i farmacisti, chi lavora nei centri vaccinali. Ecco anche chi, nel mondo della sanità svolge compiti direttivi, amministrativi e gestionali. Ecco i ricercatori, i tecnici, gli scienziati che continuano a ricercare farmaci e cure, mettendo in gioco come gli altri competenza e passione. Ecco i familiari e gli amici, che sanno riordinare le priorità della loro vita per accompagnare, accudire, consolare e donare serenità a quanti sono ammalati ed infermi”.

“Prima o poi riesci a guardare alla croce del Signore: amore e dolore. Da lì puoi traguardare verso uno spiraglio, dal quale si insinua la luce della risurrezione. E l’amore torna a donare un respiro, un nuovo passo. Per imparare di nuovo a vivere. Per imparare di nuovo a camminare” ha ricordato il Vescovo, che ha sottolineato il valore della preghiera di tante persone, di intere comunità.

Mons. Tomasi ha ricordato che la Giornata mondiale del malato è stata istituita da Giovanni Paolo II, un papa santo, che “anche nel limite della malattia ha testimoniato la fiducia nel Dio della vita”. A lui e a santa Bertilla, suora infermiera proprio all’ospedale di Treviso, della quale ricorrono i 100 anni della morte, mons. Tomasi ha chiesto di intercedere “perché possiamo incontrare anche noi questo amore e vivere questa gioia”.

Al termine della celebrazione, la preghiera del Vescovo a Maria, di fronte all’immagine della “Madonna granda” conservata nel santuario: “Madre di ogni consolazione, ti affidiamo ogni nostra lacrima e ogni nostro dolore, ogni dubbio ed ogni fatica, ogni fallimento, ogni difficoltà”.

Hanno concelebrato il direttore dell’ufficio di Pastorale della salute, mons. Antonio Guidolin, il vicario per la Pastorale, mons. Mario Salviato e padre Ottavio Bolis, parroco di Madonna Granda, insieme ad altri sacerdoti della comunità somasca.

11 febbraio 2022

XXX Giornata mondiale del malato

Celebrazione eucaristica in Santa Maria maggiore – Treviso

Il testo dell’omelia:

È «gioia» il contenuto della promessa e del racconto contenuti nelle Scritture che sono state appena proclamate.

Gioia per i deportati e gli esiliati cui viene promesso un ritorno alla casa e alla vita: “Sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni… voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò”.

La gioia calda, serena e forte di un padre che riconduce il suo popolo alla libertà, e lo consola con l’amore tenero che solo una madre può dare, e la consolazione che viene donata in una relazione di vicinanza, di tocco affettuoso, di presenza rassicurante che torna a donare un posto al mondo, un posto nel cuore della vita.

La gioia poi di un banchetto di nozze portato a termine quasi senza che i protagonisti si rendano conto dell’intervento di Gesù che salva quel momento, permettendo alla festa di poter giungere alla sua serena conclusione. Una festa di nozze come tante, un momento importante e felice per una coppia di sposi, che dona colore e sapore al ritmo feriale delle loro vite, e al quale Gesù permette di compiersi, in una pace lieta ma del tutto quotidiana, forse proprio per questo degna di un tale intervento divino.

Ma possiamo davvero parlare di «gioia» di fronte alla sofferenza, al peso della malattia, alla fatica di vivere che essa comporta? Anche soltanto di una gioia promessa, o di una serena gioia quotidiana?

Nella mia lettera pastorale ho voluto, tra il resto, condividere una riflessione fatta proprio in un momento di fatica, in cui mi era parso di cogliere che “chi soffre davvero pensa talvolta che nemmeno l’amore basti a lenire il dolore. Quando ti senti solo, sembra di non poter fare altro che soccombere”.

Sembra davvero che sia fuori luogo parlare di gioia nelle condizioni del nostro tempo, in cui alla fatica dell’essere ammalati si assommano tutti i disagi, le difficoltà e le incertezze di questo tempo di pandemia, che mette tutti sotto pressione, ma in modo particolare chi abbia problemi di salute, che continuano ad essere molti, spesso molto gravi.

Eppure, è proprio in queste condizioni, eppure è proprio chi più soffre e vive condizioni di disagio che sente, magari anche senza in principio rendersene troppo conto, che nel profondo di sé quella promessa di felicità sta sussurrando una parola di speranza.

Eppure, sono i momenti ordinari delle nostre vite che chiedono di essere vissuti come luoghi di incontro vero, di incontro straordinario con la pace e la serenità cui da sempre aspiriamo.

Eppure” – ho provato ancora a scrivere nella lettera – “scopri che, grazie alla presenza di persone amiche e pazienti, riesci ad affrontare molto di quanto la vita ti chiede (talvolta anche drammi di un dolore indicibile). Scopri che è possibile un amore che affianca, accompagna, sostiene, pian piano aiuta a guarire”.

Ecco qui allora il numero grande, la schiera molteplice e multicolore di quanti si prendono cura degli altri, della loro salute, della loro vita. Ecco i medici, gli infermieri e tutti i professionisti sanitari che operano nelle strutture, così come i medici di medicina generale, i pediatri, gli operatori dell’assistenza domiciliare, i farmacisti, chi lavora nei centri vaccinali. Ecco anche chi nel mondo della sanità svolge compiti direttivi, amministrativi e gestionali. Ecco i ricercatori, i tecnici, gli scienziati che continuano a ricercare farmaci e cure, mettendo in gioco come gli altri competenza e passione.

Ecco i familiari e gli amici, che sanno riordinare le priorità della loro vita per accompagnare, accudire, accompagnare, consolare e donare serenità a quanti sono ammalati ed infermi.

Tutti loro insieme, non soltanto gli ammalati – ma certo, loro in maniera tutta particolare, e tutti noi con loro – sentono, in mezzo a fatiche, stanchezze, ribellioni e domande, che la promessa non è un’illusione o un inganno, che la vita contiene una forza che si fa presente anche laddove il limite sembra insuperabile. Sentono che anche un’ardua quotidianità può ricevere ed accogliere benedizione.

E si fanno di nuovo presenti le parole e l’esperienza della fede, si fa presente il Servo sofferente, e nei volti amici traspare il volto del Crocifisso Risorto.

Prima o poi riesci a guardare alla croce del Signore: amore e dolore. Da lì puoi traguardare verso uno spiraglio, dal quale si insinua la luce della risurrezione. E l’amore torna a donare un respiro, un nuovo passo. Per imparare di nuovo a vivere. Per imparare di nuovo a camminare”.

Lo vedi in un prete, una religiosa o un religioso, un volontario ed una volontaria che si fanno accanto, in un medico o in un’infermiera che ti prendono per mano, che sussurrano una preghiera, che ristabiliscono un legame di affetto e di consolazione, una rassicurazione di vicinanza e di compagnia.

Ecco che senti che c’è tutta una comunità cristiana che non smette di pregare. Quante persone ci sono che pregano per qualcuno. Che ostinatamente continuano a confidare che nella vicinanza al Signore siamo davvero vicini gli uni agli altri, vicini tra noi, anche se fisicamente distanti e separati, vicini anche a tutti quelli che già hanno varcato la soglia della morte ma che nella forza del Risorto sappiamo vivi, vivi veramente, vivi in eterno.

La preghiera supera ogni confine, varca i cieli, riapre all’infinito orizzonti di relazioni di amore.

In preghiera ci ritroviamo nella comunione dei santi.

È stato un papa santo – Giovanni Paolo II – ad istituire trent’anni fa la Giornata mondiale del malato che oggi celebriamo. Anche nel limite della malattia egli ha testimoniato la fiducia nel Dio della vita, la fiducia che si sprigiona in una vita con Dio.

San Giovanni Paolo II, intercedi per noi, affinché venga donata anche a noi questa tua fiducia.

A Treviso celebriamo in particolare una Santa amatissima – una santa in ospedale: Santa Maria Bertilla Boscardin, nel centesimo anniversario della sua morte. (Di lei potrebbe raccontarci molto meglio don Antonio Guidolin: grazie, don Antonio, per la bella biografia di lei, per la bella meditazione che ci hai regalato).

Una santa umile e grande, presenza competente e piena di amore. Un amore che si manifesta e si realizza proprio nell’umiltà di questa donna, che ne ha fatto risaltare le doti di umanità giunta a pienezza nell’amore per Cristo, in tempi difficili, in durissime condizioni di vita.

Al cuore di tutto vi era per lei l’amore di Cristo, il fondamento del servizio e dell’abnegazione, il fondamento della vita.

Anche guardando a lei possiamo osare, anche noi, di parlare di «gioia»: accoglierne la promessa, condividerne la consolazione nella nostra quotidianità.

Santa Bertilla, intercedi per noi, perché possiamo incontrare anche noi questo amore e vivere questa gioia.

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